Valerio Binasco rilegge Le Sedie di Ionesco alla luce dei nostri tempi

Nel 1952 Eugène Ionesco scrive Le Sedie, una farsa tragica, così come la definisce il drammaturgo rumeno. Il soggetto sembra molto semplice, a prima vista: ci sono il Vecchio e la Vecchia, sposati da moltissimi anni e, seduti su due sedie poste una accanto all’altra, legano e riannodano le loro storie, sopraffatti dalla solitudine.
Vivono in una sorta di fortezza posta in mezzo al mare (o a un lago), sembra abbandonata, i muri sono sporchi, il pavimento pieno di detriti. Il trucco pesante sui loro volti cancella i tratti di una vecchiaia avanzata, sono sospesi in un tempo sospeso, sembrano gli unici sopravvissuti a un disastro nucleare.

I due parlano tra di loro per conversare, non per comunicare. I dialoghi sono assurdi e le parole non hanno significato. Semplicemente stanno scongiurando la noia.

La vecchia coppia prova a evocare ricordi del loro passato ma sono anche tante le delusioni che hanno dovuto sopportare.
Il Vecchio (Michele Di Mauro), un Maresciallo d’Alloggio, vorrebbe fare un Proclama all’umanità, un progetto che sta coltivando da moltissimi anni. Per questo motivo invita tantissime persone – in realtà fantasmi del loro passato – e affida il suo messaggio a un Oratore Professionista. Allo stesso tempo, dopo più di un secolo di vita, si sente solo, nonostante sia supportato da sua moglie Semiramide (Federica Fracassi).

Nella seconda parte dello spettacolo, ecco arrivare gli Ospiti, che esistono solo nella mente dei due vecchi – quindi sono invisibili allo spettatore – e che arrivano a sedersi sulle sedie, prima accatastate in maniera disordinata.

Ora i due protagonisti parlano tra di loro ma, al contempo, dialogano con i loro fantasmi prima dell’arrivo dell’Oratore che, però, Binasco farà entrare in scena puntando un occhio di bue sulla platea (in Ionesco è un attore in carne e ossa).

Due sono le cose che balzano all’attenzione dello spettatore durante la visione di questo lavoro complesso, figlio dei tempi che stiamo vivendo.
Innanzitutto la scenografia di Nicolas Bovey, premio UBU 2020-21, dominata da una torre di sedie, accatastate l’una sull’altra, fino al soffitto, che dà una dimensione post-apocalittica alla pièce.
In secondo luogo, la prova attoriale di Michele Di Mauro e Federica Fracassi, teneri, buffi, con il loro incedere lento, incerto e la polvere della casa attaccata sui loro visi come un cerone.

La regia di Valerio Binasco punta tutto sulle due figure iconiche, sulla loro recitazione che passa da toni farseschi a drammatici in poche battute. E, soprattutto, prova a riempire il vuoto esistenziale di questi due personaggi con un tappeto sonoro etereo e inquietante, creato da Paolo Spaccamonti.

L’impotenza, l’incapacità di poter agire è una fase che appartiene alla nostra storia collettiva, una paura della paura, che può portare a dei risultati avversi impedendoci di avere nuove esperienze rispetto all’oggetto di cui si ha paura (nel caso del Vecchio e della Vecchia trattasi della vita).
Lo spettacolo di Binasco, prodotto dal Teatro Stabile di Torino, ci sfida, vuol farci cambiare la nostra attitudine alla paura proprio alla luce di quanto ci sta succedendo. Forse per questo noi siamo, allo stesso tempo, l’Oratore professionista e il pubblico che assiste al Proclama del Vecchio che, pur nella sua assurdità, ha radici nella saggezza.

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