I trichechi non esistono, vero? [Liv Ferracchiati @ Piccolo Bellini 21/03/2022]

«Lo spettatore, dunque, potrebbe sentirsi spiazzato, come capita quando cerchiamo di definire gli oggetti che abbiamo intorno, le altre persone, la vita.
È impossibile conservare una forma definitiva, forse possiamo solo prendere consapevolezza e restare in ascolto di noi stessi». (Liv Ferracchiati, autore/regista e attore)

 

Uno spettacolo di fantascienza, uno spettacolo irrisolto, si direbbe, ma di una irrisolutezza voluta: il punto è proprio questo, non capire quello che ci accade intorno, anzi, meglio: chiedersi il perché delle cose. La scena si apre sul vuoto, pochi parallelepipedi trasparenti a lato che con un po’ d’immaginazione diventano blocchi di ghiaccio: immaginazione o convinzione? In scena c’è anche un cappotto blu, che però agli occhi di un personaggio diventa rosso, e di conseguenza anche il mare da blu diventa rosso: chi ha deciso la definizione da dare alle cose, d’altronde? Le cose non sono quello che sembrano e forse non ci sono nemmeno: è tutto una convenzione, sembra volerci dire lo spettacolo, o forse il tricheco animale guida può spiegarci qualcosa?

Il mondo sta finendo, siamo sull’orlo dell’estinzione, a mo’ di dinosauro moderno il tricheco sembra volercelo ricordare: ehi amico, i ghiacci si stanno sciogliendo, che facciamo? La voce off ci avverte subito, è proprio il prologo: questa storia si basa su fatti veri, ma attenzione, potreste vedere in modo diverso ciò di cui eravate così sicuri fino a poco prima: appunto vedere blu un cappotto che invece è rosso (ve lo ricordate quel giochino che fino a pochi anni fa impazzava sul web: quel vestito era blu e nero o bianco e oro?), oppure proprio vedere qualcuno/qualcosa che non esiste (siamo davvero su una rompighiaccio? quella donna è davvero incinta? e chi è quel signore così elegante che ci sta parlando?).

Diciamocelo subito, come in apertura: questo è uno spettacolo strano, che spiazza, e non c’entra nulla con la fantascienza, che non sempre è “surreale”, anzi, fa di tutto per leggere il reale e andare oltre, ma sempre restando nel futuro verosimile. Qui siamo più dalle parti di Beckett, con personaggi che parlano e chiedono senza sapere che fare, anche se il regista dice di essere partito da un’idea di Cechov, una rompighiaccio con triangolo amoroso, di cui resta qualcosa solo nella prima parte, anzi forse giusto un abbozzo, perché fin da quando la coppia in scena si siede su un divano immaginario si capisce subito che siamo in un altrove meta-teatrale che esploderà poi a poco meno della metà dello spettacolo, proiettandoci in una dimensione altra dove i personaggi lasciano il posto agli attori, e dove più che mettersi in scena ci si chiede il perché di questa messa in scena, arrivando quindi a un’immobile implosione. I poveri trichechi, animali tondi e stralunati, ci piovono addosso: che significa? Il teatro non si spiega!, urla a un certo punto uno spettatore evidentemente deluso e/o confuso, Qua nessuno sta spiegando nulla, si sente subito di rimando dal palco, e di questo ne siamo sicuri: non c’è spiegazione in quello che si è visto, e a poco serve cercarsi su Wikipedia: tutto è inattendibile e alla fine resta solo un grande e grosso punto interrogativo, forse anche troppo riflessivo e riflettente, un interrogativo che bofonchia e raffredda, perplime e non risolve, l’unica soluzione è quindi abbandonarsi alla gioiosa confusione data dalle canzoni di Piero Ciampi, de I Ricchi e Poveri, dei Beatles, forse…

In scena troviamo Andrea Cosentino, Liv Ferracchiati (anche autore e regista) e Petra Valentini, l’aiuto-regia è Anna Zanetti, dramaturg di scena è Giulio Sonno, scene e costumi sono di Lucia Menegazzo, il disegno luci è di Lucio Diana, il suono è di Giacomo Agnifili, il lettore collaboratore è Emilia Soldati.

Uno spettacolo di fantascienza – Quante ne sanno i trichechi al Piccolo Bellini, fino a domenica 2 aprile.

 

[foto di Luca Del Pia]

Lucio Carbonelli

la forza della gentilezza e il potere dell'immaginazione

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