Harry Potter e il calice di fuoco: la recensione del film tratto dal libro di successo

“Una saga che corrompe i giovani”, secondo il guardiano della fede divenuto Benedetto XVI. Questo il duro giudizio emesso nei confronti dell’epopea di Harry Potter due anni fa dall’allora Cardinale Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, nel corso di un carteggio epistolare con Gabriele Kuby, critica letteraria tedesca, autrice del saggio: “Harry Potter – Buono o cattivo?”. Il commento, reso noto ad arte, poco prima del lancio del sesto libro della Rowling: “Harry Potter e il Principe Mezzosangue” ha, naturalmente, dato fuoco alle polveri di infervorati dibattiti e contribuito, certamente tradendo le intenzioni del suo estensore, ad accelerare la scalata del volume alla classifica dei best seller dell’anno, ed è stato ripescato anche per l’uscita sul grande schermo di Harry Potter e il Calice di Fuoco, quarta avventura cinematografica del maghetto che, in pochi anni, malgrado e forse anche grazie ai suoi detrattori, è diventato famoso forse più di Merlino.
Al di là del battage mass mediatico e delle polemiche da cui inevitabilmente i kolossal che preludono al Natale sono annunciati e sospinti, comunque, Harry Potter è sempre un prodotto che si lascia guardare e che spesso sorprende per la capacità di coniugare humour e trovate gotiche, apparenza e verità mistificate, atmosfera favolistica e crude manifestazioni del male.

Anche quest’anno, dunque, un’altra creatura della prolifica Rowling si trasforma nell’ennesimo sogno di celluloide animato dalla settima arte: 800 pagine dense di colpi di scena, travestimenti, mostri “mangiamorte” e la reincarnazione di Lord Voldemort, piegate dallo sceneggiatore Steve Kloves a corollario dei rossori adolescenziali del giovane Harry. I creativi, insieme al produttore David Heyman e Mike Newell, primo inglese a dirigere un capitolo della saga (sono suoi Quattro Matrimoni e un Funerale e Donnie Brasco) hanno, infatti, dovuto necessariamente operare dei tagli per la fruibilità del racconto cinematografico, optando per la sola valorizzazione di ciò che direttamente si riferisce all’evoluzione della personalità del protagonista alle prese con la crisi dei 14 anni. Il risultato non delude e punta tutto su un Harry inquieto che lascia la serenità dell’età innocente per affrontare le insicurezze dell’adolescenza e la consapevolezza della morte.

Si parte dall’inaugurazione del “Torneo Tremaghi” che vede riunite la scuola di Hogwarts, l’Accademia di Beauxbatons e l’Istituto Dunnstrang per una pericolosa sfida a colpi di bacchette magiche, scope volanti e pozioni miracolose. La convivenza di tanti ragazzi è l’occasione dei primi incontri galanti, degli sguardi carichi di aspettative e promesse, del senso di inadeguatezza che qualunque adolescente, mago o “babbano”, prova in un certo periodo della crescita. Se la precedente avventura era stata salutata come “piccoli maghi crescono” questo nuovo capitolo riecheggia in qualche palpitazione i preludi dell’innamoramento de Il Tempo delle Mele e affianca al carattere epico dell’azione tipica del genere fantasy, il respiro più disinvolto di un racconto di sentimenti. Le giovani star della saga, però, Daniel Radcliff su tutti, non sono più bambini e cominciano a faticare nei panni dei ragazzini magici di Hogwarts, lasciando immaginare ben più grandi problemi per le prossime trasposizioni cinematografiche.
Tra le new entry del cast all star: “Malocchio”, il nuovo professore di Difesa contro le Arti Oscure, interpretato da Brendan Gleeson, e Miranda Richardson, nei panni di una petulante cronista, che si vanno ad affiancare agli storici Michael Gambon, Robbie Coltrane, Alan Rickman e Maggie Smith. Oltre, naturalmente, a Lord Voldemort, finalmente in scena reincarnato in un orribile umanoide viscido e venoso che solo un’eccezionale Ralph Fiennes riesce a rendere seducente. Con la sua apparizione, lo scontro finale tra le forze buone e oscure della magia è imminente e il popolo della celluloide ne saprà di più con l’uscita del quinto film, affidato alla regia di David Yates.

Articolo di Elisa Schianchi (reVision)

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