ST/LL, il quotidiano e la percezione del tempo che passa

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ST/LL di Shiro Takatani è un lavoro che indaga le diverse declinazioni del termine inglese “still”, cioè “silenzioso”, “ancora”, “immobile”, e costruisce una struttura a specchio, geometrica, dove le persone e gli oggetti del quotidiano esistono e non esistono. Il flusso visivo di immagini e luci si intreccia superbamente con le musiche di Ryuichi Sakamoto, Marihiko Hara e Takuya Minami oggettivando in immaginazione il quotidiano.

Tutto comincia, infatti, con un lungo tavolo nero, perpendicolare alla platea, con delle sedie ai lati. In fondo alla scena uno schermo che proietta dettagli della tavola imbandita ripresi da una telecamera. Le tavole del palcoscenico sono coperte da alcuni centimetri di acqua. Un uomo entra in scena e organizza lo spazio: sposta sedie, toglie piatti, tutto con gesti precisi e misurati. Si ode il ticchettio di un metronomo ed entrano in scena due donne, poi successivamente una terza, che prendono posto attorno al tavolo mimando un pasto.

Lo spazio plasmato dalla musica

Il tappeto sonoro che accompagna le immagini di ST/LL è fuori dal tempo ordinario e replica simbolicamente i suoni della realtà, creando una ragnatela sonora che permette allo spettatore di vivere un’esperienza totale. Lo spazio è legato percettivamente al suono e alla musica: è uno spazio-metafora, che si compone di volta in volta, si diffrae, risuona e riverbera gli effetti acustici dell’ambiente del suono. In questo caso la musica fornisce nuovi dettagli dove la variazione timbrica amplifica il visivo, con blocchi accordali alla George Crumb, dando allo spettatore la percezione della distanza e del movimento del suono, come in Stockhausen o in Xenakis.

Eppure è lo spazio come luogo quotidiano ad essere visibile a primo impatto, attraverso i suoi oggetti (forchette, piatti, sedie) e attraverso il gesto reiterato, routinario, la ripetizione che azzera l’individuo. Una ripetizione che non ha nulla a che fare con la rappresentazione, non il simbolo, non il simulacro ma il segno. Anche la ripetizione del suono è un segno, non caratterizza uno spazio come reale senza trasformarlo (come accade nel teatro della rappresentazione) ma, in questo caso, lo plasma ridefinendolo.

Il quotidiano attraverso i suoi oggetti

La forchetta, il piatto vuoto, la tavola imbandita, il metronomo, la mela sono oggetti-segni: dalla mela è nato l’uomo, oggetto della discordia, il metronomo scandisce il tempo musicale di un brano, la forchetta, i piatti e la tavola sono il quotidiano, la routine. La tavola diventerà, poi, spazio uterino, vertice della creazione, mettendo in discussione il significato degli oggetti e la loro gerarchia. È il ciclo della vita, si nasce, si muore ma si rinasce: la telecamera diventa, adesso, ecografo, mentre l’uomo è capace, adesso, nel ventre materno, solo di gesti incompiuti.

Il tempo disteso

<<Vogliamo usare bene il tempo che abbiamo, senza attendere quello che non abbiamo>>, così scrive Santa Caterina da Siena in una delle sue lettere. Il tempo che abbiamo, però, può essere disteso, attraverso la meditazione e la ricerca del Bello, per farlo coincidere col sublime di Edmund Burke, con l’appercezione e il processo della percezione sensibile. Ecco, quindi, che Takatani risemantizza gli oggetti, che d’un tratto appaiono sullo schermo mentre cadono su un ripiano di gomma, e gli spazi. Non c’è più il tempo dettato dai ritmi quotidiani ma c’è la natura col suo impulso evolutivo, che tutto definisce e tutto giudica.
L’unico tempo possibile, quindi, è quello interno, che fa divenire noi stessi e la nostra coscienza. E, a livello visivo, là dove manca la parola (il testo è brevissimo, l’intero lavoro è basato su gesti, movimenti, musica e immagini) c’è il segno nelle sue infinite traduzioni visive. L’uomo è sostanza pronta a disfarsi, a diventare oggetto a causa del tempo cronologico, che cristallizza il divenire in un blocco granitico e monolitico in una successione infinita di presente, passato e futuro. Un tempo rappresentato che si scontra in eterno con quello pensato, il momento, l’attimo in cui il tempo cronologico e l’eternità coincidono e dove ha senso lo scorrere della nostra vita.

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