La vacca: Elvira Buonocore ci parla di desiderio nella sua favola neorealista

Il lavoro di Elvira Buonocore, interpretato da Anna De Stefano, Vito Amato e da Gennaro Maresca, che ne cura anche la regia, non può prescindere dal suo titolo, “La vacca”. Un marchio, che la drammaturga dà allo spettacolo e alla storia ma anche una linea interpretativa tanto vasta quanto ristretta a un episodio che caratterizzerà violentemente l’esito dello spettacolo.

Spesso, nella filosofia e nella cultura, si tende a pensare all’altro animale come a un altro umano, ignorando o sminuendo la differenza tra l’essere umano e l’essere animale. Si presume anche che l’altro sia in grado di comunicare con noi, di rispondere alle nostre domande e di mostrare la sua reazione ai nostri stimoli. Ma cosa succede se mettiamo in discussione questa visione antropocentrica e cerchiamo di capire cosa significa essere animali?

Questo, ad esempio, è il progetto di Derrida, che propone di decostruire l’opposizione tra umano e animale, e di riconoscere la pluralità e la diversità degli animali. Per fare questo, dobbiamo innanzitutto cambiare il nostro linguaggio, e smettere di usare il termine “animale” come una categoria generica e astratta, che nasconde le specificità e le singolarità di ogni essere vivente. Dobbiamo anche interrogarci sulla nostra stessa animalità, e chiederci cosa ci rende simili o diversi dagli altri animali.

Se lo facciamo, ci accorgiamo che le barriere che abbiamo eretto tra noi e loro, tra l’umano e il non umano, sono fragili e arbitrarie, e che si basano su criteri morali e non scientifici. Infatti, usiamo il concetto di animalità per escludere e discriminare alcune categorie umane che non rientrano nei nostri canoni di normalità o di superiorità. Così facendo, neghiamo la loro dignità e il loro diritto di esistere.

Questo è il caso di Donata, che vive in una periferia degradata con suo fratello Mimmo, e sogna di farsi notare dalla telecamera. Donata non è conforme a una norma, a uno status sociale, è sola con il suo desiderio di diventare donna. Poi c’è Elia, un mandriano che ha perso le sue mucche, che si innamora di Donata, ma che la violenta in un impeto di crudeltà.

Lo spettacolo, presentato da B.E.A.T. Teatro in coproduzione con Nuovo Teatro Sanità, è una favola neorealista, che esplora il tema del desiderio e della sua frustrazione in un contesto di violenza e mediocrità, con una drammaturgia sospesa tra Beckett e i testi dei grandi autori napoletani. Sa creare momenti di comicità e di leggerezza, anche nei passaggi più drammatici e dolorosi, e riesce a far cambiare di segno alla narrazione con un finale inaspettato e brutale (ma che giocoforza ho dovuto spoilerare in questa recensione).

Non ci sono cali di intensità, la regia è vivida, intelligente e restituisce l’immaginario di una provincia degradata, di periferie ignorate dal paesaggio quasi lunare.

La questione animale, quella della “vacca”, quindi, non diventa solo una questione teorica, ma anche una questione pratica e politica, che riguarda il modo in cui trattiamo gli altri esseri viventi, sia umani che non umani. E, usciti dal teatro, sembra che la Buonocore voglia ricordarci che ogni forma di discriminazione, sia intra-specie che inter-specie, è una violenza che dobbiamo combattere, per affermare il valore e il rispetto di ogni vita.

Foto di Emilio Trambusti

Visto al Teatro Elicantropo di Napoli il 17 febbraio 2024

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