Il parco dei cervi: storie di follia e vendetta

Il parco dei cervi

Può una donna diventare il ricettacolo delle più perverse fantasie di qualcun altro senza essere pervasa dalla follia? L’attrice Ayanokoji Fumi viene plasmata secondo le sue voglie dal terribile regista Makiguchi Kenzo, che ne fa un giocattolo senz’anima.

La storia raccontata ne Il parco dei cervi – volume del ’76 firmato Suzuki Noribumi e Kazuo Kamimura, pubblicato di recente da Coconino – si apre appunto con la morte della bellissima Fumi: una morte pervasa dalla pazzia così come erano stati gli ultimi anni della sua vita. È infatti lei stessa a uccidersi, in modo teatrale e grottesco, proprio all’interno degli studi cinematografici di Kyoto Too Company, dove aveva lavorato. Sulla scena del suicidio compare anche un serpente, che sarà simbolo ricorrente di tutta l’opera.

Cambio di scena. Cade la neve e, sotto la tormenta, cammina la studentessa Ayanokoji Wakaba, diretta verso gli “studios” dove sua madre aveva trovato la fine. Lì incontra l’aspirante regista Murase, consumato dall’astio e dalla frustrazione per non essere ancora riuscito a debuttare nonostante la lunga gavetta.

L’uomo si approccia a Wakaba in maniera a dir poco espansiva, decidendo sul momento di farne una sua creatura. La figlia della celebre attrice tragicamente scomparsa sarà la sua pupilla e gli assicurerà un debutto coi fiocchi!

Una volta che la cosa è stata decisa, Murase ne informa immediatamente Makiguchi, suo mentore ormai ritiratosi dal mestiere nonché responsabile di aver ridotto Fumi alla follia.

Ma quando lui vede la giovane Wakaba, identica a sua madre, decide di realizzare lui stesso il film e, di fatto, la ruba a Murase! In più di un modo, visto che la trascina in un mondo di morbose attenzioni che la ragazza è costretta a ricevere sia da lui che dal produttore.

Quello che salta all’occhio in questa prima parte della storia è la passività della ragazza, disposta ad accettare le attenzioni di chiunque si dimostri interessato a lei pur di ottenere il successo, come un balocco di cui tutti possono giovarsi.

Ma non bisogna lasciarsi ingannare. Il parco dei cervi è una storia di vendetta, perciò molte cose sono diverse da come appaiono e la narrazione subirà una svolta imprevista…

Fondamentali, per la comprensione del volume, sono le postfazioni scritte da Giacomo Calorio e dal traduttore del fumetto Paolo La Marca.

Il parco dei cervi è un’opera con molte chiavi di lettura e approfondire la sua genesi è necessario per comprenderne tutte le sfumature.

Calorio condensa quindi, in poche pagine, gran parte della cinematografia giapponese erotica a partire dagli anni Cinquanta, spiegando nel dettaglio in cosa consiste il filone del pinku eiga, i suoi limiti e la sua evoluzione. Questo perché proprio Il parco dei cervi è concepito come se fosse la base da trasporre in un film appartenente al suddetto genere.

Qui ci viene incontro Paolo La Marca, raccontandoci di come, negli anni Settanta, esistesse proprio una rivista di manga gekiga, finalizzata a realizzare opere che potessero essere adattate per il grande schermo. Non c’è da stupirsi quindi se Suzuki e Kamimura hanno immaginato Il parco dei cervi come un vero e proprio film, con le tavole di apertura pensate come delle locandine, con tanto di didascalia in cui vengono attribuiti i vari ruoli: Suzuki Noribumi alla sceneggiatura, Kazuo Kamimura alla regia e Azusa Wakaba, il personaggio da loro creato, come attrice protagonista al suo debutto.

Questo gioco legato alla finzione filmica è un vero e proprio omaggio al mondo del cinema, e il modo in cui la storia prende corpo va a costituire – come spiegato sempre nelle note finali da La Marca – un “requiem per il mondo del cinema”, di cui Suzuki aveva, per esperienza diretta, un’opinione alquanto pessimistica. Sì, perché a quanto pare il cinema giapponese, dopo una fase di tante pellicole sperimentali che lasciavano spazio alla creatività dei giovani artisti, si era arenato nella formazione di una casta di personaggi corrotti e sleali, che stavano mandando in malora ogni cosa.

Il parco dei cervi può essere dunque classificato come una metafora di quel mondo corrotto, con l’aggiunta dell’elemento “magico” appartenente al folklore nipponico. Una lettura non per tutti, ma che certamente lascia il segno.

Titolo: Il parco dei cervi
Autori: Kamimura Kazuo e Suzuki Noribumi
Editore: Coconino Press
232 pp., col. – b/n – 22,00 €

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