Maria Stuarda, Elisabetta I: la regina è morta, viva la regina? [Mercadante @ Napoli, 6/12/2023]

«Nel trovarci di fronte queste due gigantesche figure, non possiamo non chiederci quanto e come la donna abbia dovuto interiorizzare certi meccanismi maschili della gestione del potere. […] Chi farà Maria e chi Elisabetta? Immagino un momento rituale iniziale, una vestizione che sarà un grande prologo, catartico, da fare assieme al pubblico. Le due interpreti sapranno solo all’ultimo minuto quale personaggio dovranno incarnare. Un gioco di ruoli virtuosistico per svelare come in fondo i due opposti siano la stessa cosa, quanto questa cruenta dualità non sia altro che un riflesso dell’Uguale. Il contraltare di Maria diventa così Elisabetta che incarna tutte le modalità maschili per regnare e sopravvivere. Alla base del mio teatro c’è il rapporto con l’armonia al servizio della poesia di monteverdiana memoria. La parola parlata e la parola intonata saranno sostenute sempre da una ricerca sonora che parte dalla voce delle attrici stesse».
(Davide Livermore, regista)

Tragedia composta da Friedrich Schiller alla fine del ‘700, lo spettacolo messo in scena da Davide Livermore racconta gli ultimi giorni di vita della regina di Scozia, Maria Stuarda appunto, incarcerata dalla cugina Elisabetta I per le sue pretese (il)legittime al trono d’Inghilterra. Tutta la messa in scena è incentrata sul conflitto interiore di Elisabetta, indecisa sulla condanna a morte della cugina Maria, e la relativa attesa in carcere di quest’ultima che spera fino all’ultimo in una grazia che troverà infine solo nella morte. Il tutto per quasi tre ore di spettacolo fondato su intricati intrighi d’amore/sesso, potere/soldi e parole/parole/parole.

Nelle note di scena si parla di Netflix e Games Of Thrones ma, considerati gli intrecci amorosi che molto spesso sottostanno all’azione, si potrebbe parlare anche di soap opera, e nello specifico di Beautiful (The Bold And The Beautiful, il Bello e l’Ardito, in originale) quando la vicenda si fa troppo, come dire, patetica. In scena ci sono sempre molti personaggi, ma le regine sono appunto solo due, Laura Marinoni ed Elisabetta Pozzi, bravissime non foss’altro che per un semplice (eppur potente) artificio scenico non sapranno che sorte gli toccherà fino a giusto qualche minuto prima dell’inizio: ancora sovrana o condannata a morte, vittima o carnefice? È sempre il destino feroce e spietato a decidere dell’esistenza precaria, appesa a un filo, di ognuno, e così avviene per Maria Stuarda: la decapitazione è solo frutto di caso e indecisione.

L’allestimento scenico di Lorenzo Russo Rainaldi ci mostra una prigione dove il colore dominante è il rosso del sangue e della passione, una prigione che poi diventa sala del trono a seconda di chi è l’ospite protagonista, a voler sottolineare ancora una volta quanto i destini di una persona possano essere intercambiabili, senza che niente sia scritto per sempre: è sempre e solo qualcosa al di là di noi a decidere cosa ne sarà di noi. Oltre alle due regine, personaggi che gravitano intorno a loro per amore o per sottomissione, e anche qui la differenza è così labile, d’altronde nell’acconciatura e trucco di certi personaggi sembra di vedere un David Bowie redivivo, e chi più di lui ha fatto del passaggio da un ruolo all’altro una regola, se non proprio un’ispirazione di vita (da rockstar)? Fluidità, come si dice oggi e ci conferma lo stesso regista tra le note: maschile e femminile non hanno più barriere, il mescolio è continuo, tiranne sono tutte e due le regine, chi condanna e chi è condannata. Chi uccide si nutre della vita di chi muore, non deve essere certo un caso se la messa in piega di Elisabetta ricorda il Dracula di Francis Ford Coppola e Maria è vestita perlopiù di rosso.

Anche solo un gioco di luci può cambiare una persona, luci perfette ed efficaci di Aldo Mantovani, a differenza della musica che, seppur evocativa e ben scritta da Mario Conte,può però risultare fastidiosa lì dove va a sovrapporsi un po’ troppo agli attori, soprattutto nel finale, andando a dominare con prepotenza sulle loro voci. Interessante l’utilizzo della chitarra suonata dal vivo da Giua che talvolta canta in dialogo con le attrici, ma anche qui non se ne  comprende fino in fondo l’uso e il perché, soprattutto nella scelta (fuori luogo) di una canzone troppo moderna come Nothing Else Matters dei Metallica: davvero c’è bisogno di una blanda cantante punk in scena, davvero c’è bisogno dell’onirico e ammiccante finale post-moderno? Allora meglio sarebbe stato un concerto, per scioccare la borghesia. Menzione speciale, poi, per gli sfarzosi costumi delle regine a firma Dolce&Gabbana, che rendono molto bene un certo kitsch/glamour regale da ricchi moderni.

Uno spettacolo che in sostanza proprio come la (post-)modernità non convince fino in fondo: erano davvero necessarie tre ore per raccontare questa storia? Questo allungamento, questa dilatazione, non fanno altro che rischiare la distrazione dello spettatore, sperduto tra mille parole e poca azione (lodevole però l’incipit più o meno cinematografico del secondo atto), andando a diluire le buone idee comunque presenti in uno strabordare di tempo: così come un anello può suggellare un matrimonio felice, troppi anelli possono andare a formare catene che non fanno altro che sequestrare e imprigionare anche noi, incolpevoli spettatori.

MARIA STUARDA
Visto al Teatro Mercadante di Napoli il 6 dicembre 2023.
di Friedrich Schiller
traduzione Carlo Sciaccaluga
regia Davide Livermore
con Laura Marinoni, Elisabetta Pozzi, Gaia Aprea, Linda Gennari, Giancarlo Judica Cordiglia, Olivia Manescalchi, Sax Nicosia, Giua (chitarra e voce)
costumi regine Dolce & Gabbana
costumi Anna Missaglia
allestimento scenico Lorenzo Russo Rainaldi
musiche Mario Conte, Giua
direzione musicale Mario Conte
disegno luci Aldo Mantovani
regista assistente Mercedes Martini
foto di scena Masiar Pasquali
produzione Teatro Nazionale di Genova, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, CTB Centro Teatrale Bresciano

Lucio Carbonelli

la forza della gentilezza e il potere dell'immaginazione

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