Hands do not touch your precious me, il nuovo potente lavoro di Wim Vandekeybus e Ultima Vez

L’atteso ritorno al Teatro Bellini di Napoli del talentuoso regista e coreografo belga Wim Vandekeybus, con Ultima Vez, ci mette dinanzi a un lavoro incentrato sulla morte e la rinascita. Si chiama Hands do not touch your precious me e racchiude una serie di suggestioni che partono da un inno della sacerdotessa sumera Enheduanna impresso per la prima volta su tavolette d’argilla di oltre 4000 anni fa.

Si parte dall’origine della civiltà umana, quando la dea Inanna (interpretata da Lieve Meeussen) si cala negli inferi per morire di morte crudele e, infine, rinascere. E ci viene mostrato anche l’origine della comunicazione, fatto di grida antiche e di segni. Sono questi due elementi, la morte e la rinascita, la fine e l’inizio, ad essere il filo conduttore di questo lavoro.

Vandekeybus si affida, per la prima volta, a Olivier de Sagazan, performer e artista visivo che, nello spettacolo, riveste il ruolo di Ereshkiga, sorella di Inanna, ed è una forza oscura e tenebrosa, che lavora il suo corpo con l’argilla e la pittura, fino a divenire scultura vivente, e funge da contraltare all’intera performance con i suoi impulsi feroci e istintivi che generano sensazioni altalenanti e scomode nello spettatore.

A completare il quadro è Charo Calvo, compositore e creatore della colonna sonora che unisce, in un tappeto elettroacustico, melodie e rumori. Sia Calvo che de Sagazan e Vandekeybus hanno lavorato bene sul concetto di scomposizione minuziosa dell’atto performativo ma anche del tessuto sonoro e della materia artistica.

Il corpo si anima, si attiva ma viene anche trasfigurato dall’opera di Sagazan che scompone un volto di argilla e pittura in un accumulo di carne senza significato, anonimo. Terra e fuoco creano e distruggono ed è una sensazione che lo spettatore può toccare con mano, come quando, d’improvviso, prende fuoco una sorta di nido fatto di argilla.

Vandekeybus lavora su un input iniziale, che è il titolo dello spettacolo, e prova a raccontare per immagini superando, al contempo, il concetto stesso di racconto. Nella sequenzialità dei quadri, abbiamo la sensazione di trovarci dinanzi a qualcosa di molto grande, di un lavoro che si avvicina molto al concetto di “arte totale”, dove musica, atto performativo e gesto artistico diventano un tutt’uno.

Poi c’è il non trascurabile elemento dei frammenti video, registrati dal vivo sul palco, e poi proiettati su uno schermo. Un taglio registico che ritroviamo in altri lavori del regista belga, come nel caso della fotografia in “Booty Looting”, e che qui genera un effetto straniante.

“Hands do not touch your precious me”, cioè “mani che non possono toccarsi” è uno spettacolo senza l’utilizzo di parole ma che mette in scena una danza frenetica, liberatoria, che incide sui corpi e sugli animi. E, pur se è stato progettato prima della pandemia, parla del nostro vissuto, di una fragilità interiore e individuale che abbiamo sviluppato nel momento in cui siamo stati messi a confronto con l’ignoto e l’abisso atroce della morte. Si parte, come sempre nei lavori di Vandekeybus, dai conflitti e dalle situazioni archetipiche per rappresentare le paure, i desideri e la violenza interna di una comunità. Ed è proprio in quel momento che il corpo e il viso si trasformano, travalicano l’umano per assumere forme animali e mostruose.

Visto al Teatro Bellini di Napoli il 5 maggio 2022

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