Dalla Grecia a Beirut, storie di famiglie perdute e ritrovate.

Alla greca, messo in scena al Cortile della Reggia di Capodimonte la sera di sabato 9 luglio, come lascia intendere già dal titolo è proprio la rivisitazione in chiave moderna di uno dei più famosi miti greci, quello di Edipo nello specifico, e la rivisitazione è riuscita benissimo, lirica ma allo stesso tempo scoppiettante, diciamolo subito. La scrittura è di Steven Berkoff, la regia di Elio De Capitani, affiancato dagli attori Cristina Crippa, Sara Borsarelli, Marco Bonadei; ultima ma non ultima la musica dal vivo di Mario Arcari, Tommaso Frigerio, Giosuè Pugnale. E proprio la musica ha un ruolo fondamentale nello spettacolo, non solo per la cornice musicale che va a creare intorno agli attori, ma proprio nello spirito della rivisitazione moderna: il protagonista Bonadei, appunto l’Edipo del mito che per comodità qui diventa Eddy, nel suo parlare e poetare sembra quasi una rockstar, l’apparenza è sicuramente punk, il modo di tenere il palco è da musicista consumato, tanto che smessi gli stracci giovanili e trasformatosi in marito (e ristoratore) provetto sembra quasi di vedere Nick Cave, la somiglianza con il cosiddetto “re inchiostro” è fortissima. La storia è quella che conosciamo tutti, qui chiaramente riadattata ai nostri tempi, o meglio agli anni ‘70: Eddy è appunto un giovane punk in perenne disaccordo con la famiglia, e in questo ricorda anche l’Alex di Arancia Meccanica di Burgess/Kubrick, e sentita l’ultima stupidaggine (nota: nel suo turpiloquio Eddy avrebbe usato ben altri vocaboli) dei genitori, ovvero tale profezia zingaresca di lui che avrebbe ucciso il padre e biblicamente giaciuto con la madre, decide di andare via, un po’ per sfuggire al destino cinico e baro un po’ per seguire la propria strada. Sappiamo tutti come andrà a finire: Eddy ucciderà davvero il padre e sposerà davvero la madre, genitori mai conosciuti, e per questo totalmente sconosciuti per lui. Piaghe e dolore si abbatteranno sul mondo, tanto che Eddy – nella speranza di riportare la normalità – dovrà scendere all’inferno per risolvere l’enigma della Sfinge e ucciderla. Basterà? La ribellione di Eddy fino a dove si spingerà? Cosa accadrà alla madre, ormai moglie? Uscita per il paradiso, entrata per il cielo: così la definirà Eddy, schiacciato dal destino, ma di sicuro non arreso. Del protagonista abbiamo già detto, ma chiaramente bravissimi anche gli altri attori, protagonisti anche loro, a partire dai già nominati storici attori del Teatro dell’Elfo Elio De Capitani e Cristina Crippa, genitori clowneschi ma non solo, ma anche Sara Borsarelli, nei panni di una Giocasta da pub sguaiata e sensuale. Perfetti e coinvolgenti i musicisti, sempre presenti sul palco insieme agli attori, non solo con musica, ma anche con veri e propri effetti sonori.

 

La musica è protagonista anche dello spettacolo messo in scena la sera del 10 luglio al Teatro Politeama, Told By My Mother, presentato come spettacolo di danza, ma forse sarebbe stato meglio definirlo un concerto, visto il ruolo preponderante della musica e del canto. Lo spettacolo è tutto imperniato sulla storia di due donne, donne che vanno alla ricerca di figli perduti: uno fatto scomparire nel nulla, l’altro partito per unirsi a un gruppo di combattenti. Sul palco, quasi privo di ogni elemento scenico, abbiamo 2 donne, madri forti e coraggiose, 2 ballerini, che prendono su di sé il ruolo dei figli scomparsi, 2 musicisti, che accompagnano e svolgono la storia facendosi anche arma del caso. La musica è potente, profonda, riverberata, a tratti industriale, basata su corde e percussioni, molto simile a quella del musicista canadese dalle origini libanesi Jerusalem In My Heart, e ora accompagna ora contrasta il canto sofferente e disperato delle donne che cercano il proprio figlio perduto fino alla fine dei propri giorni. I testi arabi sono tradotti e proiettati su uno schermo nero, in modo che tutti possano goderne la poesia e l’intensità. «Told by my mother è uno spettacolo di danza costruito a partire da storie intime e sentite. Storie di madri iconiche e delle loro famiglie, alcune disperse, o scomparse. Raccontiamo le loro storie perché la memoria sopravviva. Altre rimangono e vivono per raccontare. Le loro voci salgono sul palco, cantando e raccontando ciò che è stato, per salvare ciò che è rimasto. Danzano per sopravvivere a ciò che resta», racconta Ali Chahrour, regista e coreografo dello spettacolo. Questo spettacolo ci parla intimamente di morte e memoria, e lo fa attraverso musica e storie provenienti da un condiviso patrimonio familiare. Nel buio del teatro, ascoltando le voci di queste donne – sono sempre prima le donne a rendersi conto della follia di una guerra – sembra quasi di ritrovarsi a casa loro, sul finire del giorno, la sensazione è proprio quella, soprattutto quando viene diffusa la registrazione originale del figlio perduto che canta insieme alla madre. L’effetto è straziante, e non possiamo che pensare a tutte le guerre, vecchie e nuove, che ancora sconvolgono il mondo: quando finirà?

 

 

 

Lucio Carbonelli

la forza della gentilezza e il potere dell'immaginazione

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