Don Juan: sesso, morte e luci rosse

 

Finito lo spettacolo, lo spettatore viene catapultato nello spettacolo stesso, o meglio, ci si prova, gli si dà una possibilità: luci rosse nel foyer, mascherina di pizzo nero a nascondere l’identità, braccialetto rosa per entrare nel party esclusivo: alcol, musica, pole dance: ognuno faccia il proprio gioco. Don Juan è morto, viva Don Juan!

Don Juan In Soho, lo spettacolo messo in scena dai fratelli Russo (Gabriele regista, Daniele protagonista) prende le mosse da un adattamento moderno di Patrick Marber che a sua volta si ispira al più classico Molière, classico, certo, ma la satira volgare e feroce attraversa felice i secoli e arriva fino a noi, fendendo epoche e corpi, restando intatta e divertente.

Protagonista è appunto il DJ sfrenato libertino che appena sposato si consola  con un’orgia di cui lui è il quindicesimo partecipante che gode degli altri quattordici, tutti per lui, senza alcun dubbio. Brasiliane, croate, slovene, inglesi, francesi, manca un’eschimese, che problema c’è, si prenota subito un volo ed è fatta. È il suo fido servo a provvedere a tutto, suo malgrado, servo che però – come si dice a Napolichiagne e fotte: gli tocca sbrigare tutte le grane certo, ma ha la consolazione delle briciole lasciategli dal padrone a cui nessuno direbbe di no, nonché possiede ossessivamente e aggiorna compulsivamente il cosiddetto catalogo di tutte le discinte forme femminili conquistate e usate dal suo libertino padrone, gambe ovunque a dir poco: un vero e proprio tesoro, sì.

Taluni tentano di far rinsavire il nostro: prima i fratelli della sposa, poi il padre: ma il nostro non ci pensa nemmeno, al massimo fa commedia, farsa, finta. Perché sposarsi allora, se non si vuole porre fine alla conquista? Il matrimonio è semplice conquista di purezza da corrompere, forse che c’è qualcosa di più orgasmico e soddisfacente di un bianco da sporcare, questo lo scopo, e soprattutto perché smettere, a che serve la fedeltà? La morte è l’unica fine, ma fino a che si può cercare, conquistare e scopare, sempre, anche davanti alla morte che chiama e avvisa.

Don Juan è veramente convinto di quello che fa, i corpi per lui sono semplici silhouette da agguantare, forme su pedana girevole che gira gira continua a girare, si gira in tondo attraverso le porte girevoli di questa vita, ci si prende in giro, anche, e paradossalmente Don Juan può perfino permettersi un’invettiva morale: abbiamo cominciato dipingendo le pareti di una caverna, dice, e adesso guardiamoci, facciamo video sperando nell’ennesima conquista dell’effimero, tanto effimero da essere diventato incorporeo, quindi totalmente inutile. Di questo va dato atto, al nostro stiloso dongiovanni perpetuo e debosciato: non muore con un telefonino in mano, proprio perché non ha dimenticato come si vive.

Bravi e in parte tutti gli attori e le attrici (notevole Alfonso Postiglione nella parte del servo), per questo scoppiettante e seducente varietà pieno di equivoci salaci, battute spinte, situazioni piccanti, corpi provocanti, musica elettronica perfetta per l’occasione. Quasi si potrebbe pensare a una serie, di sicuro a Don Juan non mancherebbero i follower, anzi pardon, le follower, come d’altronde dimostra la sala piena e in visibilio.

Lucio Carbonelli

la forza della gentilezza e il potere dell'immaginazione

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