L’Aspettando Godot firmato da Theodoros Terzopoulos è un capolavoro

Per Samuel Beckett le parole non sono capaci di esprimere il sé interiore e, al contempo sapeva che il linguaggio fa parte della condizione umana e, quindi, non solo non può essere considerato un elemento da poter estirpare ma, anzi, è costitutivo del Sé.

Veniamo, dunque, a questo straordinario allestimento di Aspettando Godot messo in scena da Theodoros Terzopoulos – coprodotto da Emilia Romagna Teatro e dalla Fondazione Teatro di Napoli Teatro Bellini in collaborazione con l’Attis Theatre Company – ambientato in un futuro più o meno prossimo e partiamo proprio dalle parole, che sembrano orbitare attorno agli attori senza mai toccare terra.

Nei lavori di Beckett, per la prima volta, la materia teatrale viene plasmata a tal punto da riuscire a presentare l’assenza e l’astrazione fino a farli diventare gli oggetti stessi del dramma. E l’assenza dipende dall’incapacità dell’intelletto di stabilire prima una connessione e, infine, una continuità con il mondo, con il quotidiano che crolla nel momento in cui il rapporto tra realtà e mente viene interrotto.

Probabilmente una delle tante chiavi di lettura di Aspettando Godot potrebbe essere proprio questa: cosa succede all’uomo se si crea un divario tra sé stesso e il mondo che lo circonda?

E qui entra in scena uno dei più importanti registi europei in circolazione, che ha contribuito a cambiare l’estetica del teatro contemporaneo. L’antirealismo di Terzopoulos e la precisione geometrica e astratta delle sue scene, a firma sua, sono fondamentali da comprendere per poter entrare nella logica del regista greco.

Vladimiro ed Estragone – rispettivamente Stefano Randisi ed Enzo Vetrano, eccezionali – si muovono in una scatola-gabbia, così come definita da Angela Albanese su Doppiozero, fatta di quattro quadrati che scorrono sia in orizzontale che in verticale combinandosi tra loro in vario modo. Vladimiro ed Estragone restano sdraiati per quasi tutto lo spettacolo nella loro disperazione, modulando il testo con l’utilizzo di diversi registri vocali, mentre Pozzo e Lucky – rispettivamente Paolo Musio e Giulio Germano Cervi, rigorosissimi – restano sempre in piedi.

E tra i monologhi invasivi di Pozzo e il silenzio animalesco e tremolante del servo Lucky, che rompe la continuità delle parole del suo padrone, si fa strada il teatro di Terzopoulos, che è in pratica l’anticamera della morte. Il principio funzionale di base del Metodo Terzopoulos si basa sulla decostruzione, sull’analisi e sulla ricostruzione del corpo attoriale e del materiale drammaturgico ed è per questo motivo che il testo di Beckett viene smontato e rimontato di continuo. Un esempio è rappresentato dall’albero di Beckett che, qui, diventa una piantina.

Forse per la prima volta il non-luogo beckettiano, rivisto e riabitato da Terzopoulos, coincide con il nostro, dove la vita non va più avanti e il presente persiste. Vladimiro ed Estragone sono due personaggi pigri, paralizzati, che non hanno più nulla da fare perché tutto è già dato. Possono solo continuare ad aspettare Godot e, per questo motivo, il Ragazzo – Rocco Ancarola, allievo di Terzopoulos ad Atene – alla fine strappa le pagine insanguinate di un piccolo libro e le getta a terra con un gesto disilluso. I rimandi agli scenari di guerra che funestano il nostro mondo non si contano e il nostro Godot, forse, potremmo doverlo aspettare ancora a lungo.

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