Un dolce racconto di bianco e di blu (senza dimenticare il giallo/rosso) [Lucia Calamaro, Isabella Ragonese @ Teatro Nuovo 04_03_2023]

«Non stavano sempre bene i nostri genitori. Avevano parecchi dispiaceri. E noi eravamo piccoli, per lo più impotenti di fronte a quella loro ben declinata infelicità. Intuivamo, non conoscevamo, sospettavamo, non sapendo che fare.
Allora ho immaginato un luogo, piccolo, tra un fantomatico “di qua” e “di là” in cui questo fatto, questa parola che sia “evento”, che curi, possa accadere, per un po’».

(Lucia Calamaro, autrice e regista)

 

La scena si presenta bianca, l’arredamento provvisorio, quasi da campeggio, una sola porta chiusa su una parete bianca, ambientazione completamente algida se non fosse per la protagonista Isabella Ragonese che entra nervosamente in scena, tutta di blu vestita, un tailleur che lascia intravedere il giallo della maglietta, colore che insieme al rosso dei capelli fa subito intuire la particolarità e il carattere dell’attrice/personaggio. Da Lontano – chiusa sul rimpianto, infatti, è stato appositamente scritto per lei da Lucia Calamaro, andato in scena e visto al Teatro Nuovo di Napoli il 4 marzo 2023, presentato da Infinito Teatro e Argot Produzioni in collaborazione con Riccione Teatro, con la partecipazione di Emilia Verginelli, il disegno luci a cura Gianni Staropoli, le scene di Katia Titolo, i costumi di Francesca Di Giuliano.

Da lontano la figlia Isa guarda una madre che si intuisce non esserci più, con rimpianto per quello che non è riuscita a fare da piccola, ma come avrebbe potuto, senza mezzi, senza niente se non se stessa. Lo spettacolo avrebbe potuto essere un semplice monologo, ma in realtà è un dialogo: si parla al muro, ma che importa, l’importante è che l’altro ci sia sempre, altrimenti come si fa senza l’altro? Il filosofo famoso dice che l’altro scompare nel vuoto del passato, ma sappiamo tutti benissimo che non è affatto così: l’altro più se ne va, più resta.

La voce dell’altro può anche essere un trapano che ci distrugge la testa, un cavo che continua a tirarci a sé, un rumore basso e continuo che lacera e macera per quel che è stato e non sarà più, senza poter essere più cambiato, ma quanta tenerezza nel poter continuare a parlare con chi continua a vivere anche più di prima, quanta tenerezza in uno strambo e assurdo ricordo di una madre per cui tutto sembrava normale, anche la pazzia di una busta di plastica in testa e un sacchetto di patate a mo’ di borsetta: il dialogo continua continuo: Isa parla a se stessa e al muro bianco, parla perfino col pubblico, regala il suo numero di telefono nella disperata ricerca dell’altro: perché come si fa, appunto, senza l’altro?

Lo spettacolo è tenero e toccante, comincia come una cosa così, leggera e nevrotica come solo un film di Woody Allen vorrebbe e potrebbe essere, eppure poi scava nel profondo, emozionando, anche grazie a certe invenzioni registiche molto azzeccate, come la proiezione su schermo del viso della protagonista, faccia a faccia con se stessa, la sua anima affacciata su una placida notte stellata, pura e consolatrice. Una poetica notte dell’anima che salva, madre e figlia, almeno per un po’, è questo che importa, che il rimpianto possa finalmente finire lontano e tutto questo (ci) accarezzi e (ci) ripari per un po’. Scorrono le lacrime, catartiche nonostante l’artificio di scena, perché così come le cose, anche le persone si rompono: è l’unico modo per rimettere in ordine i pezzi di ciò che è stato, è, e sarà.

Lucio Carbonelli

la forza della gentilezza e il potere dell'immaginazione

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