Virgilio Sieni e Cecità di Saramago: spaesamento e speranza per il futuro

Cecità, il romanzo più celebre dello scrittore portoghese José Saramago, narra di una misteriosa epidemia di cecità bianca che colpisce una città senza nome, trasformando la vita dei suoi abitanti in un incubo di violenza, paura e disperazione.

Tra i ciechi, però, emerge una figura luminosa, l’unica che conserva la vista e che si dedica a guidare, a curare e a proteggere il suo gruppo.

Potente metafora dell’assurdo, dell’essere umano posto dinanzi al caos, il libro mette il lettore di fronte al progressivo abbrutimento di una società che ha perso il suo contatto con la natura, con la solidarietà, la spiritualità.

E Virgilio Sieni, nel suo lavoro, coprodotto dalla Fondazione Teatro Piemonte Europa e dalla Fondazione Teatro Metastasio di Prato, sembra partire proprio dagli interrogativi aperti da Saramago per creare una suggestiva esperienza sensoriale, che coinvolge il pubblico in un viaggio tra luce e buio, corpo e spazio, visione e cecità.

Lo spettacolo si apre con una scena di forte impatto visivo: dietro un telo bianco, si proiettano delle luci intermittenti, che simulano gli effetti della fotofobia, una condizione di ipersensibilità alla luce che provoca disturbi alla vista. Questa scena iniziale crea un senso di spaesamento, di confusione, di vulnerabilità nel pubblico, che si identifica con i ciechi del romanzo.

La prima parte dello spettacolo si svolge dietro questo sipario opaco, che impedisce di vedere chiaramente gli interpreti. Si sentono solo le loro voci, i loro rumori, i loro movimenti. Si percepisce la loro angoscia, la loro paura, la loro solitudine. Si intuisce la loro lotta per la sopravvivenza, per la dignità, per la speranza.

Nella seconda parte dello spettacolo si alza il telo e rivela i sei performer, che sono Jari Boldrini, Claudia Caldarano, Maurizio Giunti, Lisa Mariani, Andrea Palumbo e Emanuel Santos. Si vedono i loro corpi, le loro espressioni, le loro azioni. Si assiste alla loro trasformazione, alla loro rinascita, alla loro rieducazione alla vista.

I protagonisti sono potenzialmente ostili tra loro ma non possono fare a meno del sostegno reciproco. Comunicano soprattutto tramite il linguaggio del corpo e si lasciano andare. Sono corpi distrutti ma inarrestabili, capaci di resistere, che portano il segno delle tante sofferenze legate al mondo attuale, alle sue degenerazioni sociali, ecologiche, culturali.

E, nella terza parte, forse quella più debole, si impone il conflitto tra ordine e caos. È il capitolo che mostra la reazione di questa umanità crudele e autodistruttiva al vuoto del “non vedere”. Uomini e donne che cercano di ripristinare un senso di normalità e razionalità, cancellando le tracce della degradazione. Ma la riconciliazione, il ritorno della solidarietà perduta avviene soprattutto grazie al recupero di un rapporto nuovo con la ferinità dell’essere umano, con la natura prima repressa e poi scatenata senza limiti.
Una figura in bianco, con un lungo pennello da imbianchino, simboleggia il tentativo di questa umanità di ripulire il mondo dalla cecità. Ma il suo gesto è vano, perché la cecità non è solo fisica, ma anche mentale e morale. Un microfono, montato su un lungo palo cavo, produce rumori assordanti, insopportabili, che dinamizzano lo shock di senso che Sieni vuole dare. Entrano, poi, figure animalesche, esseri bestiali metà umani e metà animali che amplificano il senso di alienazione di quest’automatismo primordiale. Pare quasi che l’essere vivente sia pronto a ri-scommettere su sé stesso ma, per intraprendere questo nuovo cammino, devono necessariamente affidarsi e lasciarsi sorprendere dall’Altro.

 

Visto al Teatro Mercadante di Napoli il 2 marzo 2024

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