Chi ha paura di Virginia Woolf?

Chi ha paura di Virginia Woolf

@Diego Steccanella

Scritto dal drammaturgo statunitense Edward Albee nel 1962, Chi ha paura di Virginia Woolf?, per la regia di Arturo Cirillo, è in scena al Teatro Bellini di Napoli dal 26 al 31 gennaio 2016. Capolavoro assoluto dello scrittore americano rappresentato nel tempo nei teatri di tutto il mondo ed oggetto di una celebre trasposizione cinematografica con protagonisti Richard BurtonLiz Taylor, si presenta ancora oggi come un dramma molto attuale sull’amore. L’ardua prova di Arturo Cirillo, regista ed interprete della pièce, mira a costruire attorno ai protagonisti della rappresentazione, una coppia di mezza età che accoglie in casa una coppia di novelli sposi, un dramma potente e allo tempo stesso inquietante in cui si assiste alla costruzione di un gioco al massacro che porterà alla luce i nervi scoperti, il dramma e la fragilità dei personaggi e quindi dei rapporti di coppia.

Una notte, una lunga notte, basta al massacro dell’anima. Alla caduta delle barriere, alla fuga della ragione. Una notte in cui fiumi di alcol ledono la psiche e danno corpo a tormenti, ansie e paure che diventano protagonisti della scena. Un gioco al massacro che non risparmia nulla e nessuno. George, Arturo Cirillo, e Martha, Milvia Marigliano, attraversano la platea del teatro sbraitando e arrivano in scena. Nulla è accaduto a renderli così concitati, 23 anni di matrimonio bastano alla costruzione di un canale comunicativo alternativo. Sono di ritorno da una festa, l’ennesima festa borghese del sabato sera dove gruppi di persone mediamente interessati gli uni agli altri s’incontrano e con la compiacenza di svariati brandy, whisky e gin cominciano a sorridere e schernirsi  intonando le più inutili futilità. George lo sa bene, professore associato di storia, infossato in quella facoltà in cui non è mai riuscito, per volere o per limiti caratteriali, a far carriera. Proprio lui che ha sposato la figlia del preside. Lui destinato ad un futuro accademico brillante, e non manca giorno che sua moglie non glielo ricordi,  ridotto nella mediocrità della sua bassa condizione. Ma la festa non è finita. A breve, nonostante sia notte inoltrata, riceveranno ospiti. Una coppia conosciuta alla festa, di cui Martha non ricorda il nome ma che gli è stata raccomandata da suo padre, anzi suo padre si è molto raccomandato di essere gentili con loro.

Ricevere gente a quell’ora tarda sembra a George un’assurdità, ma se il preside ha consigliato di essere gentili con loro c’è poco da fare, Martha non metterebbe mai in dubbio una sua richiesta, fosse anche notte inoltrata. La giovane coppia non tarda ad arrivare. Nick, Edoardo Ribato, e Honey, Valentina Picello, suonano il campanello nel pieno della discussione ma vengono ugualmente invitati ad entrare. George e Martha sono già al secondo bicchiere e con l’arrivo degli ospiti arrivano al terzo. Nick e Honey sono sposi novelli, lui docente di biologia presso la stessa facoltà di George, un giovane vitale e anche bellino, come lo definisce Martha. Sua moglie una donna esile dai fianchi stretti in evidente alterazione alcolica.

Complice proprio l’alcol, e come potrebbe non esserlo visto che il centro della scena è dominato da un totem, un bancone da bar,  George e Matha iniziano una danza fatti di colpi bassi. Una danza che inizia allentando la presa sulle inibizioni culturali che frenano non poco la realtà ed iniziano a rinfacciarsi repressioni, nevrosi, invidie e vecchi rancori. Dapprima Nick ed Honey assistono allo spettacolo senza ritegno che dispiega dinnanzi ai loro occhi cercando un riparo plausibile a questo mare di oscenità, normale prassi della vita coniugale dei padroni di casa. Poco alla volta però anche la giovane coppia viene coinvolta in questo eccidio salendo sul ring di questo ménage familiare dai toni cupi.

Martha è cruda e crudele. Piena di rimpianti e di fantasie che intende soddisfare in nome di un a bellezza che sta sfiorendo infierisce di continuo sul suo consorte rinfacciandogli di essere un abietto senza aspirazioni, che non è mai stato in grado di spiccare il volo, a suon di Se non esistessi divorzierei. Non ti vedo da anni, sei un vuoto assoluto, e ancora Eccomi qua, attaccata a questo rospaccio, un verme istruito, colpevole unico ed assoluto della sua disfatta come donna, in tutte le sue plurime sfaccettature. George regge i colpi, forse perché preda di una stanchezza atavica, da un lato la asseconda crollando come un sacco sul divano beige tra i cuscini rossi, dall’altro regge il ritmo, risponde a tono, prova ad umiliarla, ma lei urla, urla sempre, con la sua voce spesso lo sovrasta. Ma lui non molla.

Nick è un uomo grintoso, vitale, pronto alla scalata sociale e arriverà molto più lontano di dove di fatto è arrivato George. E pronto ad andar a letto con sua moglie, se questo dovesse servire ad accelerare i tempi. Vedendolo George si sente pronto ad una passaggio di consegne autorizzandolo a compiere questo sacrificio in nome della carriera che a lui è mancata. Anche Nick ed Honey hanno i loro scheletri nell’armadio. Si conoscono sin da piccoli, lei unica ereditiera del patrimonio di famiglia quando gli annuncia di essere incinta decidono di sposarsi. La sua è una gravidanza isterica, si gonfia e si sgonfia con la stessa facilità. Di salute precaria, vomita spesso e per lungo tempo, impaurita dal dolore fisico Honey consapevolmente decide di non volere figli scongiurando il pericolo tramite una probabile assunzione di farmici e alcol a profusione. Incastrati in questo matrimonio che in altre circostanze sembrerebbe la continuazione naturale di un percorso da innamorati ma che invece ha radici ben più finanziarie, hanno anche loro più di un motivo per prendere parte a questa dissacrazione notturna.

Questo vortice di odio e disprezzo reciproco si riversa anche nella scenografia che da ambiente raffinato si trasforma con le prime luci del mattino nel caos più totale. Nella narrazione degli eventi di questa lunga notte viene fuori il trait d’union di George e Martha, il motivo che tiene in vita il loro matrimonio: un figlio che tornerà a casa il giorno seguente per festeggiare assieme ai genitori il suo compleanno. Nel pieno della tormenta, George riemerge. Dopo essere stato umiliato, dopo aver subito il tradimento di sua moglie, dopo essere stato per anni vessato da un suocero che lo reputa un rammollito, viene fuori la sua vera natura. Da vittima apparente di questo matrimonio asfittico George in realtà ha sempre saputo abilmente tirarne i fili, giostrando la sua abilità di burattinaio. Soltanto l’invenzione di un figlio, la costruzione meticolosa della sua venuta al mondo, della sua infanzia, della sua intera vita avrebbe consentito ai due di sopravvivere alle rispettive cattiverie. Un figlio immaginario, ma talmente reale nella sua finzione che ha avuto la forza legarli. E proprio per questo, dopo questa lunga notte, George pianifica la sua revanche finale: un telegramma che annuncia la morte di suo figlio, un telegramma che punisce nel profondo Martha, colpevole, oltre che per le prolungate cattiverie, per aver parlato proprio di questo figlio immaginario ad estranei. Martha crolla, preda dello sconforto. Ed è proprio dal baratro più profondo sente di essere vicina più che mai a suo marito. George che ha commesso l’odioso sbaglio di volerle bene e paga amaramente per questo, George che le vuole bene e vuole darle la felicità e lei non la vuole.

Arriva finalmente l’alba, e per tutti è ora di ritirarsi.

Chi ha paura di Virginia Woolf?, con sapiente regia di Arturo Cirillo, ha evitato scivolate banali portando in scena un dramma potente e allo stesso tempo inquietante sulle dinamiche, in questo caso controverse, sui cui si reggono i rapporti umani. E lo fa con un cast forte.  Milvia Marigliano è una Martha forte, potente, impulsiva, mai sopra le righe che offre con notevole disinvoltura le mille sfaccettature di questa donna fino a rivelarne l’animo fragile e pieno di lacrime. Cirillo è un George che si muove con estrema abilità tra gli insulti agendo con misurato sadismo che sfocia nel colpo finale. E non manca di crudeltà nell’infliggere colpi all’altra coppia impugnandone senza esitazione la loro misera facciata perbenista. Una messa in scena intensa e ruvida che impone un profondo sforzo attoriale dei protagonisti in grado di creare negli spettatori rimandi di varia natura ed interrogativi che aleggiano sulle personali fragilità.

 

Info

Teatro Bellini di Napoli

via Conte di Ruvo, 14

081 5499688 – botteghino@teatrobellini.it

Orario: martedì, giovedì, venerdì e sabato ore 21:00; mercoledì e sabato pomeriggio ore 17:30; domenica ore 18:00

Biglietti:

Mar/Sab pomeriggio

1° settore 20€

2° settore 15€

3° settore 12€

Merc/Giov/Ven/Sab

1° settore 28€

2° settore 23€

3° settore 18€

over 65/Cral/Convenzioni (solo repliche mercoledì, giovedì e venerdì)

1° settore 25€

2° settore 20€

3° settore 15€

under 29 15€

Ai prezzi sopraelencati va applicata una maggiorazione del 10% pari al diritto di prevendita.

 

 

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