“MS MARVEL” o “L’insostenibile leggerezza del cringe”

Di Lorenzo Iaconis

Ms Marvel

Quando Panini Comics pubblicò per la prima volta Ms Marvel in Italia, buttai giù queste righe:

“La nuova serie supereroistica Ms Marvel, di G.W. Wilson & Adrian Alphona, mi ha dato profondamente da pensare, dando così prova da subito del suo primo pregio: è un fumetto che non lascia indifferenti, che scuote ragione ed emozione, che va digerito ed analizzato.

La prima parte di questa mia – appunto – analisi è quindi chiaramente positiva ed entusiasta: la storia e, soprattutto, i dialoghi sono ben scritti e magistralmente esaltati dai disegni – scoppiati e surreali – del maestro Alphona; si ride, si riflette e ci si incazza, come di fronte ai migliori slice of life, ma c’è anche, ovviamente, il tema supereroistico, qui affrontato – nella migliore tradizione, risalente addirittura al primo Spider-Man, che guarda alla scoperta di un potenziale non ancora pienamente espresso – in relazione a quello dell’adolescenza, tema (in un mondo di eroi adulti) tutto sommato ancora non pienamente esplorato al 100% delle sue implicazioni: come reagirebbe un teenager di fronte all’improvvisa acquisizione di poteri superumani?

Se Ms Marvel fosse un fumetto indipendente, splendido nella sua freschezza e totalmente scevro da qualsivoglia implicazione editoriale, la mia recensione finirebbe qui e sarebbe tutto rose e fiori.
Purtroppo, c’è un grosso ma…

Ma Ms Marvel, come suggerisce il nome, NON è un semplice fumetto d’autore, frutto di una piccola realtà editoriale; bensì uno dei nuovi titoli di punta della major americana Marvel. Ed ecco che, inserendolo in questo ben più ampio quadro, spiccano d’un tratto gli aspetti più odiosi e negativi. Due in particolare…

In primo luogo, la Marvel , casa editrice di personaggi iconici quali Wolverine e l’Uomo Ragno, dovrebbe essere perfettamente in grado di sopravvivere preoccupandosi solo di tenere sempre in auge il suo storico parco personaggi, senza doverli – com’è ormai la norma – rimpiazzare con controparti femminili, o provenienti da universi alternativi, o entrambe le cose (vedi Spider-Gwen), peraltro speculando sulla recente ondata di sensibilità circa le tematiche di genere; la tendenza ad investire invece in nuovi e più accattivanti personaggi, in barba a quelli della tradizione, è ormai dilagante e Ms Marvel è parte integrante di questo processo commerciale del rilancio – tanto più che eredita il nome da un personaggio che, con l’identità di Carol Danvers, è sempre stato un Avenger comprimario di serie Z; circostanza che, neanche il rilancio come protagonista (probabilmente, anche di un prossimo film) in qualità di Captain Marvel, potrà mai cambiare.

Inoltre, il neonato personaggio di Kamala Khan si colloca all’interno anche di un altro ben più grande (e becero) progetto editoriale/commerciale: il patetico rilancio degli Inumani, dettato solo da mere esigenze cinematografiche.

Ma, fin qui, stiamo comunque parlando sempre e solo di supereroi e di dinamiche interne alla sfera prettamente editoriale e narrativa.

La più importante implicazione della nuova Ms Marvel ha invece a che fare con la vita vera e, in particolare, con un aspetto che, mai come in questo momento storico, è stato d’attualità per Europa e USA: Kamala Khan è musulmana e, tra gli spaccati della sua vita quotidiana, assistiamo a ritrovi in moschea, sermoni e superstizioni sciorinati dai genitori della ragazza, incursioni di veli e burkini; davvero un colosso dell’editoria americana vuol farci credere che approva e ch’è a suo agio, addirittura tollerante, verso tutto questo?!

Il riconoscimento della multietnicità è sempre stato un elemento presente e significativo nell’ambito dei comics americani (vedi la cosiddetta seconda genesi degli X-Men) ma, nell’epoca dell’islamofobia, ostentare l’idea progressista che per l’Occidente sia tutto ok al riguardo, è quanto meno omissivo, per non dire ipocrita.
La verità è che al momento, al di là delle proprie convinzioni personali, la spinta xenofoba in questa parte del mondo è forte e la campagna d’integrazione avanzata dalla Marvel, anziché essere una risposta positiva contro questa tendenza, risulta piuttosto storicamente priva di fondamenta: l’America ha, di fatto, scelto Trump, un uomo che ha fatto dell’intolleranza – già solo verso i (praticamente loro vicini) messicani – il proprio strumento di propaganda elettorale; c’è davvero spazio per Kamala e la comunità pakistana che vorrebbe rappresentare?
Il sospetto è che, più che altro, la Marvel abbia voluto speculare sull’ondata buonista e progressista che continua a parlare di integrazione, anche di fronte a certi fatti di cronaca; che cerca di soffocare legittime paure bollandole come razzismo; che ostenta lo slogan del Not in my name, come fosse sufficiente a diradare l’oscura ombra, che incombe su tutto il mondo islamico, magistralmente raccontata da ben altri pilastri della nona arte, come Persepolis di Marjane Satrapi… Forse tutte queste implicazioni sono frutto della mia percezione – indottrinati come siamo dai telegiornali e dai dibattiti politici in TV – e non erano minimamente nelle intenzioni dei vertici Marvel, quando hanno lanciato questa serie: fatto sta che mi hanno impedito di godermi appieno una storia fresca e divertente, con un linguaggio originale, che fa del ruolo dell’adolescente nel mondo il suo tema principale e con protagonista una supereroina adorabile, pasticciona ed insicura che, se non fosse per il colore olivastro della sua pelle, farebbe senz’altro dimenticare l’ingombrante bagaglio targato Marvel che si porta dietro…”

Era il 2016. Oggi, più di allora, la Marvel è un brand cinematografico più che fumettistico; il film di Captain Marvel è diventato realtà e il personaggio di Carol Danvers è stato ficcato a forza tra i pesi massimi degli Avengers e delle icone femminili forti; d’altra parte, com’era prevedibile, il tentativo di rilancio degli Inumani è stato un flop, sia su carta che sul piccolo schermo, tanto da rendere preferibile l’acquisto dell’intero baraccone Fox, pur di tornare in possesso degli X-Men… E Ms Marvel è diventata la nuova serie di punta Marvel su Disney + (che pure 6 anni fa ancora non c’era…): una serie ch’è impossibile recensire senza rimandare al fumetto da cui è tratta, con tutte le sue implicazioni di cui sopra. Perchè anche se Trump non c’è più, non è che siamo messi meglio – e la continua contrapposizione tra un politically correct sempre più isterico e una realtà ch’è semplicemente feroce ed arrabbiata, sembra sempre di più una stridente forzatura, anziché un segnale propositivo di cambiamento. Ma, soprattutto, 6 anni fa non esisteva il termine che più di tutti descrive l’esito di questo adattamento: CRINGE.

È questa la parola che più mi è balenata alla mente durante la visione di questi primi 3 episodi: cringe sono i siparietti della famiglia di Kamala, con le stesse insopportabili dinamiche riprese pari pari dal film (sempre Disney) Red e che, stereotipo per stereotipo, andrebbero benissimo anche per una famiglia pseudo-italiana; cringe è stato l’inserto stile Bollywood dell’ultimo episodio trasmesso, con imbarazzanti derive alla “matrimonio napulitano”; cringe la finta disinvoltura con cui Marvel ti butta lì spaccati di quotidianità islamica, che noi normalmente assoceremmo a immagini che vorremmo dimenticare; e, più di tutto, cringe il clamoroso miscasting rispetto ai personaggi del fumetto, a cominciare dalla protagonista, passando per il fratello (traslato da integralista in thawb a simpatico hipster), il padre (da burbero patriarca ad amabile boomer impacciato e, di nuovo, molto cringe) e l’amico Bruno: nessuno che somigli, per aspetto e caratterizzazione, alla controparte cartacea! E, ad accentuare la cosa, ecco sui titoli di coda un omaggio al disegnatore che assume invece i toni di un’ammissione di colpa, che rende palese a tutti quanto gli originali fossero lontani da questa messinscena. Per non parlare della banalità con cui hanno affrontato il parallelismo “scoperta dei superpoteri/pubertà”, in barba a tutte le finezze sull’identità dell’adolescente, e dell’imbarazzante glissare sulla questione degli Inumani, parte integrante della origin story del personaggio, qui totalmente omessi come se non avessero mai fatto parte dell’MCU (ma, l’abbiamo detto, noi sappiamo che così non è) e rimpiazzati invece da una trita storia di bracciali magici e jinn – giusto per allontanarsi dai cliché arabeggianti…!
Insomma, se simili stravolgimenti possono pure risultare comprensibili quando si tratta di adattare ai nostri giorni personaggi la cui creazione risale a 60 – o più – anni fa, risulta davvero difficile comprenderne il senso su un ruolo, già di per sé costruito a tavolino, che appena 6 anni fa rappresentava (o almeno così pretendeva) lo specchio dei tempi… Se non con un semplice assioma: il marketing che, a tutti i costi, prevale sui contenuti.
E quest’ossessione, tutta USA (ma che a forza qualcuno qui vorrebbe fare anche nostra) per il politicamente corretto, che invece continua solo a mettere in fuga fruitori e spettatori…

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