Claudio Morganti: bisogna ripulire la scena e lo spirito

claudio morganti

Claudio Morganti è un attore ligure formatosi nella compagnia di Carlo Cecchi, ha lavorato con Alfonso Santagata e, dal 1993, ha formato una sua compagnia cominciando un lavoro di ricerca molto importante e personale sull’opera di Shakespeare, Pinter e Beckett. Il suo percorso su Buchner, che porta avanti da sei anni, è qualcosa di unico nel panorama italiano, soprattutto la sua lettura del Woyzeck dove non c’è divisione tra palco e platea ma lo spazio diventa un mezzo per dare vita a forme di narrazione differenti. Vince il Premio Ubu nel 2012 per la sua “dichiarazione di metodo” poetica e politica.

 

1) Se volessimo cominciare un’analisi della situazione di crisi culturale del teatro italiano, da quali segnali dovremmo partire? Secondo te/voi, la crisi del teatro potrebbe essere la diretta conseguenza di una crisi generazionale, d’identità e di opportunità?  Quali sono i tempi e modi del suo sviluppo?

Non parlerei di crisi del teatro. Siamo usi chiamare teatro ciò che invece è più che altro spettacolo. Il teatro è una scoperta, mentre lo spettacolo è un’ invenzione. Spettacolo è l’unico veicolo che ci permette (a volte) di fare esperienza del Teatro.
Direi perciò che si tratta, più che altro, di una crisi economica che investe lo spettacolo (considerato dalle istituzioni una fastidiosa quanto inutile “necessità”) e il “mercato” che lo regola.
Ed io concordo con Antonio Neiwiller, quando diceva che Teatro e mercato sono due paradigmi che non hanno molto a che fare l’uno con l’altro.

2) Si può affermare che la crisi del teatro possa dipendere anche da una mancanza di idee teatrali forti?

Mi sembra che idee “teatrali” qua e là ve ne siano, idee in grado di comporre ottimi spettacoli. Ma il Teatro non è fatto di idee.
L’ambiente “teatrale” soffre e soffre per mancanza di denaro. Dovrebbe piuttosto soffrir per la vergogna. Molto gravi sono le mancanze a livello etico ed umano. È il lavoro degli artisti il centro di tutto (gli uffici esistono perché esiste il palcoscenico e non viceversa) eppure gli artisti sono l’ultimissima ruota della trafila economica. Spesso offesi e a tratti volentieri umiliati.
I soldi servono per mantenere le strutture, le quali certo, si aprono agli artisti ma a patto che questi non pretendano d’esser pagati.

3) Qual è la funzione sociale del teatro oggi? Quali necessità soddisfa?

La macchina teatrale soffre sempre di più lo strapotere delle tecnologie e dunque sul piano sociale, inevitabilmente perde terreno. Ma è stupido competere.
Sarebbe opportuno ricominciare a tessere trame alla ricerca degli elementi originari del Teatro, in maniera semplice; potrebbe essere una via. Naturalmente parlo di una ricreazione spirituale, dove grande importanza hanno la conoscenza, il pensiero, l’idea di rito sganciato dall’idea di religione. Perché è a partire dal benessere dello spirito che le persone possono imparare l’ascolto e dunque cominciare a comunicare.

4) Si può credere a un rinnovamento del teatro o siamo in attesa di un modello culturale che possa scuotere le coscienze?

Non so cosa vuol dire rinnovamento del teatro. Il teatro è un linguaggio antico, non ne va perduto il seme originario.

5) Lo Stato sostiene il teatro in Italia? Se sì, ne beneficiano tutti?

No, lo stato non sostiene il Teatro. Prova in maniera maldestra a sostenere lo spettacolo, perché non sa cosa sia l’arte sganciata dal soldo.
In pochi ne beneficiano molto.
Molti ne beneficiano poco.
Questi ultimi andranno presto ad ingrossare il già enorme mare di coloro che non ne beneficiano affatto.

6) Le due misure più estreme ed urgenti da mettere in atto, secondo te

Direi fermare il disprezzo che monta nei confronti degli artisti. Come non so. Ma forse si potrebbe provare a riconoscerle, le umiliazioni (più o meno sottili) che si subiscono e cominciare a porvi rimedio. È questione di consapevolezza, di rispetto per se stessi. Gli sprezzanti disprezzatori, che disprezzino pure, ma dobbiamo quanto meno rendercene conto.
(Io mi scuso, ma di fronte al concetto di urgenza non riesco a pensare al fus)

7) Ha ancora senso mettere in scena i classici? O andrebbero “tolti di scena”? Quanto influisce la scelta politica di un direttore artistico?

Quando le avanguardie si accorgono dei classici possono accadere miracoli.

8) Si può parlare di “dittatura teatrale” nel mondo delle arti in scena? Se sì, perché?

Penso si possa proprio parlare di fascismo (di nuova concezione), ed è là dove c’è disprezzo, violenza, irrisione.

9) È possibile un “teatro della crisi” in cui artisti, spettatori e critica trovino un punto in comune?

Il tema è talmente complesso che non penso sia giusto rispondere in breve.

10) Quant’è importante lo spettatore a teatro? Quanto è necessario investire nella formazione di un pubblico consapevole?

Non si è dato il Teatro senza spettatore. È fondamentale offrire opportunità di conoscenza e approfondimento al di là della serata-spettacolo. Naturalmente il disinteresse crescente per il sapere in generale, la regressione culturale che investe l’umanità, non devono spaventare, ma semmai far aumentare le proposte e gli inviti allo studio e alla riflessione.

Prima di salutarti, ringraziandoti per la collaborazione, ti chiediamo un’ultima riflessione: qual è la tua missione teatrale? Come immagini la situazione culturale e teatrale italiana nei prossimi cinque anni?

L’unica missione è percorrere la propria via. Dal momento che il Teatro è l’arte dell’essere penso che la si potrebbe chiamare Dearu-Do (La Via dell’Essere) (?).
Cercare di comprendere sempre di più cosa sia Teatro per evitare di occuparsi di tutto ciò che lo inquina. Ripulire la scena e lo spirito (che tanto poi il corpo, di nuovo linguaggio in nuovo linguaggio, di salite in discese, se lo porta via il cancro).

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