Delirio bizzarro, una follia piena di poesia

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C’è un tratto distintivo in Delirio bizzarro della coppia Carullo-Minasi che, probabilmente, è l’essenza stessa dello spettacolo: la crisi esistenziale, cioè quella convergenza deleteria di conflitti e contrasti che provoca uno stato di malessere. Crisi, spesso, confusa con follia. La scena mostra un centro di salute mentale e due personaggi, Sofia e Mimmo. La donna lavora freneticamente e assiste “Mimmo bello”, così come continuamente apostrofato, un paziente con disturbi mentali legati allo stress. In questo contesto protetto, i due cominciano a svelarsi e a far venire fuori un mondo reale, veritiero con la levità e la delicatezza che caratterizza la poetica del duo.

A partire dal titolo, che fornisce una chiave di lettura interessante, i due protagonisti hanno perso il loro controllo sulla mente e sul corpo ma cercano di dominarsi spingendosi dapprima verso l’equilibrio e poi verso la caduta. Si assoggettano l’uno all’altro, si supportano, anche parlando lingue che non appartengono al loro mondo. Infatti, nel momento in cui si lacera la rete di rimandi che fa capo alla realtà delle cose, l’individuo si sente isolato e cerca un appiglio relazionale e culturale. Mimmo, infatti, ama Sofia, vorrebbe condividere con lei il suo universo, fatto di cunti e di storie. Sofia, invece, è presa dal suo lavoro, ovvero dalla sua ricodificazione del reale, e dedica poco spazio, almeno in fase iniziale, alla pervasiva corporeità di Mimmo per essere, invece, l’adulto che sottomette il bambino-figlio.

La scrittura drammaturgica procede a due livelli: il primo spinge lo spettatore in una dimensione altra senza interporre alcun filtro tra il centro di salute mentale e la platea. Non c’è Dio, non ci sono medici ma solo due soggetti con le proprie individualità sottratte, con singolarità che si intrecciano fino a perdersi nell’Altro. Fate molta attenzione alla scena ad incastro di Cinzia Muscolino, spigolosa e ostacolante, che assume forme diverse, come la “follia”. Al contempo, però, è una “clinica del vuoto”, dove il linguaggio artistico tende verso il suo limite dopo aver esplorato tutte le possibilità di raccontare una ferita.
Il secondo livello dà un valore oggettivo al delirio che non comprende la patologia ma solo l’Attore-essere umano. In questo, forse, “Delirio bizzarro” è beckettiano fino al midollo perché racconta la follia degli ultimi, che sanno trasformare l’orrore e l’abominio dell’informe in una forma piena di poesia. Racconta, però, anche la follia del corpo in senso platoniano, con le sue pulsioni (la puzza di una deiezione o di un corpo impuro, l’ostentazione dell’escremento), che impediscono all’anima di raggiungere l’Assoluto e la Verità se non attraverso il suicidio.

Ci sarebbe tanto da dire su questo accurato lavoro d’indagine compiuto da Carullo-Minasi che avvalora, ancor di più, il loro percorso artistico con grande equilibrio, senza strafare. A differenza del bellissimo De Revolutionibus, in cui si gioca col materiale leopardiano, qui il duo lavora compiutamente sulle interviste e le testimonianze raccolte per costruire un colto tessuto drammaturgico che si stacca dal giudizio della realtà dei fatti pur mantenendo, tuttavia, una forte dimensione politica. Loro, invece, come sempre, riempiono la scena con un’espressività insolita e dirompente, che è il loro marchio di fabbrica, “mantenendo sempre fermi gli estremi dell’urgenza“.

Visto al Teatro Area Nord di Napoli il 21.01.17

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