Trianon di Moscato interpretato da Imma Villa e altre tre attrici per We Love Enzo

Eterno dinamismo nell’immobilità. Anche contenendo corpo e gesto, la lingua di Enzo Moscato rotola sulla scena tra scoppi e pause, colori e umori, preghiere e maledizioni. Una scelta precisa, per riportare la parola al centro e all’ascolto, quella di Imma Villa con Mariachiara Falcone, Valeria Frallicciardi e Francesca Morgante, allestendo la lettura di Trianon. Uno dei primi testi del drammaturgo e regista recentemente scomparso, penultimo appuntamento della rassegna We Love Enzo, in Sala Assoli.

Nel ventre di un carcere, «abbascio ‘o tammurro», come i bassi senza luce e aria descritti da Anna Maria Ortese ne Il mare non bagna Napoli e da Domenico Rea, Nanà e le tre Lulù aspettano la fine del buio, liberazione e riscatto che non arrivano mai. Nell’ombra e nell’attesa i quattro personaggi cominciano a condividere storie di privazioni, meschinità e torti della vita da strada, perché è solo consegnando la povera esistenza di ognuna che si può ingannare l’attesa della disillusione e uscire dal tempo per diventare racconto. E in questo circuito di umiliate e offese, trovano spazio narrazioni per ritratti e voci di altri dimenticati, messi ai margini: Nannina l’Urdema Vota, prostituta derisa, Pagnuttella, maniaco che ognuna nella vita, raccomanda Nanà, dovrebbe avere la fortuna di incontrare, il secondino che resta muto alle richieste e alle accuse delle confinate.

Ma proprio sui corpi marchiati, prestati dalle attrici all’azione, su cui si consuma il dramma, il gesto di reazione è completamente asciugato. Spalle e schiene, gambe e braccia restano tese nella staticità, contratte per lasciare che solo volto e parole diventino testimoni della fine di ogni illusione. Perché basta la lingua di Enzo Moscato, l’autore «dimesso e feroce», come fu descritto da Antonio Neiwiller, per sentire il caldo e la tosse, l’acqua e le briciole, la paura e la stanchezza dei quattro personaggi sulla scena. Alternando con saggezza i registri vocali, Trianon così diventa partitura. Se con la cadenza ritmica di Valeria Frallicciardi, il testo trova il tempo esatto per creare tragicità e riso, Francesca Morgante, in tonalità da soprano, colora la speranza che presta lascerà posto all’illusione, mentre Mariachiara Falcone, buon contralto, trascina lo spettatore negli angoli più bui dove si consuma ogni offesa. È ad Imma Villa che spetta il compito dell’assolo, dosando e godendo di pause e silenzi, per poi accelerare all’improvviso su descrizioni, invettive, richieste. Una scelta non facile, una scommessa vinta.

Proprio per questo il pubblico alla fine della lettura si scioglie in un lungo applauso, commosso certamente dalla recente assenza, ma soprattutto dalla cura dell’allestimento: un testo che pur essendo tra le prime prove di Enzo Moscato chiarisce e tiene in custodia, anche dopo quarant’anni, i tratti fondamentali dell’autore: l’esistenza come un inferno a porte chiuse, in cui l’opportunità di riscatto è sempre più lontana, impossibile. Una lingua dimessa e feroce, anche dopo la scomparsa di Enzo Moscato, perché come ha sottolineato Imma Villa, nell’unico gesto sui saluti, battendo il pugno tre volte sul palco, baciando le dita e portandole al cielo: è ancora qui.

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