Moby Dick alla prova: Da Herman Melville a Orson Welles, passando per William Shakespeare [Elio De Capitani, Teatro Bellini Napoli]

«La balena a cui dare la caccia? È il mostro che ognuno di noi deve trovare nell’altro, per creare un nemico da perseguire e a cui attribuire tutto il male possibile».

Lo spettacolo comincia con il più classico degli incipit, «Chiamatemi Ismaele». Quasi a volerci buttare subito in mare, nell’oceano profondo solcato da navi e fantasmi, mostri albini e idoli oscuri che trascineranno tutti con sé, nel gorgo abissale che a guardarci troppo dentro sarà poi il gorgo abissale a guardare noi, portando tutti alla sciagura e al disastro di questa favola d’odio. Il destino sembra già segnato, il naufragio sicuro, ma in realtà la compagnia non è ancora pronta, indecisa su un altro spettacolo: William Shakespeare, o Herman Melville? Re Lear, o Moby Dick?

Il 16 giugno 1955, a Londra, Orson Welles va in scena per lottare personalmente con Melville, il palco vuoto e la sala piena di spettatori, ma al pubblico non dà né mare, né balene, né navi. Oltre a queste balene bianche, per Elio De Capitani c’è da inseguire e combattere lo stesso Orson Welles, la balena nera con cappello e sigaro. È suo il testo che infatti De Capitani porta per la prima volta in scena in Italia, un adattamento in versi sciolti dove il teatro si fa meta-teatro, come solo i più grandi sanno fare: appunto c’è una compagnia alle prese con Il Re Lear che poi passa al Moby Dick, la famosa balena bianca, il fuori scena più ingombrante possibile: gli attori la vedono, e noi con loro, il pubblico che grazie a immaginazione e pensiero riuscirà a porre rimedio alle imperfezioni del testo, così come richiesto dal Bardo di Avon. 

Lo spettacolo è diviso in 2 atti, il primo forse eccessivamente didascalico e verboso, vista anche la presenza in scena di un personaggio/attore narrante, il secondo più dinamico e visionario con giochi di luci plumbee e fragoroso vento, forse anche per l’incontro con il mostro albino, che però ovviamente rimane sempre fuori scena, anche se ben presente: è l’odio che guida Achab a inseguirlo, rendendolo odiatore feroce e sinistro, e nella sua ossessione appunto trascina con sé una ciurma numerosa e contagiata, sedotta dal capitano oscuro: le maschere che nascondono il viso a mostrare il morbo grigio che contagia tutti. L’azione si fa corale, non solo nel canto, ma anche nel movimento: epica ed impressionante la caccia finale.

In scena accanto a De Capitani troviamo una compagnia perfetta che ha avuto modo di fortificarsi e unirsi durante le lunghe prove in lockdown: Cristina Crippa, Angelo Di Genio, Marco Bonadei, Enzo Curcurù, Alessandro Lussiana, Massimo Somaglino, Michele Costabile, Giulia Viana, Vincenzo Zampa. La musica dal vivo è di Mario Arcari e i canti marinareschi sono diretti da Francesca Breschi. La traduzione è di Cristina Viti, i costumi di Ferdinando Bruni, le maschere di Marco Bonadei, le luci di Michele Ceglia, il suono di Gianfranco Turco. Lo spettacolo è dedicato alla memoria di Gigi Dall’Aglio, indimenticato maestro rievocato alla fine di ogni replica.

[foto di Marcella Foccardi, repliche al Teatro Bellini di Napoli fino a domenica 12 febbraio]

Lucio Carbonelli

la forza della gentilezza e il potere dell'immaginazione

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