Lugansky e Steinberg incantano il San Carlo di Napoli

Serata speciale al San Carlo di Napoli con due artisti d’eccezione: il pianista Nikolay Lugansky e il direttore Pinchas Steinberg. Il programma prevede il Concerto per pianoforte e orchestra n. 3 in re minore, op. 30 di Sergej Rachmaninov e la Sinfonia n. 5 in re minore, op. 47 di Dmítrij Šostakóvič.

Partiamo con quello che dai più è conosciuto come Rach3, una sfida per ogni pianista che, in quarantacinque minuti, deve imbastire un corpo a corpo con l’orchestra. Sergei Rachmaninov, alto quasi due metri e con mani gigantesche, era uno dei pianisti più virtuosi del suo tempo. Un uomo dallo spirito tardo romantico che riuscì a prolungare l’attitudine musicale tipicamente ottocentesca fino alla sua morte, avvenuta nel 1943. E questo concerto, che fu diretto nel 1909 da Gustav Mahler, esprime pienamente la ricca varietà cromatica e il virtuosismo fin de siècle delle composizioni russe.

Il Terzo Concerto inizia con un “Allegro ma non tanto” in cui si confrontano e si combinano in vari modi due temi: uno teso e drammatico, l’altro più dolce e malinconico. Le note sembrano martellate, il secondo tema interviene spesso a stemperare la tensione del primo fino ad arrivare a un ponte, a metà del movimento, in cui pianoforte e orchestra si muovono assieme, come se fossero una coreografia spettacolare di stormi di uccelli, fino ad accelerare progressivamente per poi esplodere.
Nel secondo movimento, “Intermezzo (Adagio)”, l’orchestra imbastisce un tema arabeggiante fatto di arpeggi e trilli dove il piano assume quasi una posizione secondaria fino ad arrivare al “Finale (Alla breve)” il cui tema principale è esposto dapprima con note separate e poi elaborato con una melodia sinuosa, dalle tante sfumature, in cui ritornano spunti del primo movimento.

C’è sintonia tra l’Orchestra del Teatro di San Carlo, magnificamente diretta da Pinchas Steinberg, e il pianista Lugansky, perfetto nel fraseggio, nell’interpretazione di un materiale così incandescente come il Rach3. Impetuoso ma anche equilibrato e brillante nel tocco, riesce a dare rigore ritmico ai movimenti restando a metà tra approccio filologico e un suono dal registro più personale e moderno.

La prima parte del concerto termina con applausi ripetuti e a scena aperta che costringono Lugansky a uscire per ben 5 volte per ringraziare un San Carlo sold out in ogni ordine e settore. Due sono i bis concessi: il preludio n.7 dai “10 preludes, Op.27”, che Luganskij ha inciso nel 2018 per Harmonia Mundi, e il preludio n.12 dai “13 preludes” presente nella stessa registrazione.

Si passa, così, alla seconda parte del concerto che, a tutti gli effetti, è un’immersione nella coscienza del compositore russo Shostakovic. Il primo movimento, infatti, descriverebbe una crisi psicologica vissuta dall’artista che vorrebbe cambiare vita. Il secondo movimento – una specie di scherzo – sarebbe un momento di leggerezza prima del terzo movimento, che racconterebbe i primi sforzi dell’eroe/artista per (ri)costruire la propria identità, completamente immersa nell’epoca che lo circonda.

D’altra parte, lo sviluppo della sinfonia con episodi i cui temi e motivi vari si intrecciano in modo contrappuntistico necessitano di un’orchestra compatta e di un direttore preciso. Steinberg, però, fa di più: dirige in un modo matematico, scompatta la sinfonia, si concentra, volta per volta, su diverse sezioni orchestrali per poi mettere assieme i pezzi e creare un corpus unico.
E se il primo movimento è potente, tagliente, aggressivo, il secondo, un Allegretto, è un valzer in cui è evidente il continuo gioco di rimandi tra le varie sezioni orchestrali. La tensione emotiva cresce e, man mano, emergono il ritratto crudele dell’oppressione del regime sovietico e il contrasto tra regime comunista e compositore.
Si termina con il Quarto Movimento, un “Allegro ma non troppo”, una marcia che va a stemperare le tensioni dei movimenti precedenti. Alla fine dell’esecuzione, il pubblico del San Carlo è in piedi e riserva un grandissimo applauso a direttore e orchestra, a dimostrazione del fatto che c’è ancora spazio per la bellezza.

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