Kingdom, il viaggio di Anne-Cécile Vandalem ai margini del capitalismo

Kingdom è la storia di una famiglia fuggita dall’Europa e che si rifugia in Siberia Orientale nel cuore della Taiga per cercare una vita migliore in un paradiso naturale. Le motivazioni sono facili da capire: il patriarca vuole offrire ai figli un futuro luminoso, in un luogo incontaminato, fuori dal mondo iperconnesso. Non tutto, però, va per il verso giusto e questo “regno”, che il capofamiglia vorrebbe costruire senza difetti per lasciare una traccia da tramandare di generazione in generazione, comincia a trasformarsi, alimentato da sospetti e rancori. Soprattutto perché, al di fuori del loro recinto, ci sono dei cugini misteriosi e ostili, che fanno accordi con i bracconieri e che stanno rovinando tutto il paesaggio naturale.
Tra di loro ci sono vecchi rancori, che nel corso della narrazione vengono fuori, ma anche un atteggiamento di sospetto e di odio che si muove nei sotterranei del mondo degli adulti. I bambini non possono fare altro che rispettare i numerosi divieti, che non riescono a comprendere pienamente, imposti dal capofamiglia.

Lo spettatore è parte di tutto questo, non sta assistendo a una recita ma a un documentario antropologico in presa diretta. Gli attori, infatti, parlano alla telecamera e il pubblico può apprendere frammenti di storia da questi racconti attraverso uno schermo gigante. Si entra, così, nell’intimità dei singoli personaggi e nella quotidianità di una famiglia che – si scoprirà – è tutt’altro che felice. Sono tutti vittime della follia di un uomo e della sua utopia irrealizzabile e irrazionale.

La storia procede divisa in tre sezioni (Il Regno, I Fantasmi e I Banditi) e, man mano che si dettaglia, assume contorni sempre più oscuri. La scena è illuminata da poche lanterne, le composizioni di Vincent Cahay e Pierre Kissling, percussive e inquietanti, rendono l’atmosfera cupa e tenebrosa e la regia di Anne-Cécile Vandalem non si concede virtuosismi ma si limita a mostrare, con naturalezza, una tragedia che sta per esplodere.

La bellissima scenografia di ruimtevaarders, con una foresta di alberi alti e scuri e una capanna di legno dove vive la famiglia, si intreccia con gli elementi sonori di Cahay e Kissling e, di volta in volta, sentiamo i rami frusciare, un elicottero, il suono dell’acqua. Nel frattempo una telecamera sta filmando la catastrofe che diventerà parte di un documentario più esteso da trasmettere in Europa.

Kingdom presenta molti elementi affascinanti ma la contaminazione di linguaggi rischia seriamente, soprattutto nella parte centrale, di perdere anche lo spettatore più attento. La scrittura della Vandalem è piena di dettagli e la telecamera non funge più da mediazione simbolica – come avviene in Pieces of a Woman di Mundruczo o in Milo Rau – ma diventa una narrazione orientata, gestita dalla regista. Questo rende il lavoro, soprattutto nella parte centrale, eccessivamente lento, verboso, nonostante i diversi colpi di scena che la regista dissemina qua e là.

La rappresentazione scenica rimanda più all’universo visivo del cinema che al teatro: dentro quest’oggetto non identificabile, infatti, potremmo ritrovare echi di Fantastic Mr. Fox di Wes Anderson ma anche dell’Antichrist di Von Trier o, addirittura, di The Village di Shyamalan.
D’altro canto la regista ha dichiarato che, per questo spettacolo (terza parte di una trilogia), si è ispirata al documentario Braguino, diretto da Clément Cogitore, che, per l’appunto, parla di due famiglie che rifiutano di parlarsi nel mezzo della taiga siberiana.

Sicuramente è un viaggio suggestivo – seppur faticoso e complesso – ma, probabilmente, il nostro sguardo non è ancora allenato a cogliere tutte le sfumature che questo meta-spettacolo offre, e, soprattutto, personalmente non sono riuscito a stare dietro allo scambio feroce tra interno ed esterno restituito dalla telecamere (e dal testo della Vandalem). Vivida e profondamente realistica la prova degli attori – soprattutto i bambini – ma, a mio avviso, poco efficace il messaggio politico.

Foto copertina di Salvatore Pastore

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