Alessandra Saugo, una voce ferocemente nuda [Wojtek Edizioni]

«Tutto si trasforma in nostalgia. Ogni cosa. Ogni ogni minima cosa anche andata storta, scarsa, sbolsa, rifilata già scaduta, taroccata, smorta. Tutto si trasforma in nostalgia. In paradiso perduto. In paradiso esistito. È esistito un paradiso, sempre, ogni momento. Ogni momento riceveva la benedizione. È esistito un paradiso sempre, ogni momento. È stato tutto un paradiso, sempre. Dietro le spalle era un paradiso, dappertutto, ogni momento. Un paradiso da indietreggiare. Indietreggiare. Indietreggiare. E c’era una volta un supermercato così bello, ma così bello, che tutti gli altri supermercati ne erano invidiosi. Lui, a differenza degli altri supermercati, aveva una cosa in più: lui aveva un mistero». (Alessandra Saugo)

 

Capita un dolce sabato di inizio settembre di capitare in un festival letterario di provincia, lì dove la parola provinciale però non assume significato negativo, anzi, ma si fa piuttosto dimensione piccola e accogliente, a misura d’uomo, umana. Capita di ascoltare quindi un grande scrittore leggere qualche riga da un libro, capita di ascoltarlo, e vederlo, commuoversi, proprio lì, proprio mentre legge quelle parole scritte su carta, povere parole distese per terra, nude, intime, potenti, sante. Fuori dal mondo, minuti d’incanto.

Il festival letterario si chiama FLiP (Festival della Letteratura Indipendente – Pomigliano d’Arco) e il grande scrittore che legge si chiama Antonio Moresco e per questo evento dobbiamo ringraziare Wojtek, illuminata e illuminante libreria e casa editrice dalla bellissima e curatissima grafica retrofuturista (opera di Antonio “Bobo” Corduas) che così si descrive sul proprio sito, spiegando chi è Wojtek: «Wojtek è il nome dell’orso bruno siriano adottato dalla XXII Compagnia di rifornimento dell’artiglieria nel Corpo polacco, durante i preparativi della battaglia di Cassino. Wojtek, simbolo della resistenza polacca durante la Seconda guerra mondiale, è allora il “guerriero sorridente”, attento ai nuovi lettori, ai lettori in cerca di tracce di esplorazione, consapevole dei modi e dei ritmi della narrazione, e pronto a spingersi persino nei luoghi in cui nessun libro è mai stato, intercettando visioni del e dal presente, con i linguaggi più diversi. Wojtek guarda anche agli ambienti delle avanguardie letterarie, le riviste online, perché è lì che spesso si annida lo sguardo più radicale. La casa editrice propone narrativa “non di genere” e intende tale formula in senso inclusivo e di apertura rispetto ad ambienti e a letterature inesplorate o solo parzialmente esplorate dall’editoria italiana, evitando dunque qualunque approccio mainstream. Wojtek vuole così intercettare – come davanti a una radio clandestina del secondo conflitto mondiale – le narrazioni capaci di decodificare, in piena libertà di concezione e realizzazione, quanto sta realmente accadendo a lato, dietro e oltre rappresentazioni rassicuranti e parole ovvie».

 

Il libro di cui si parla, ecco, è uno dei più recentemente pubblicati, Come una santa nuda, libro che viene pubblicato sei anni dopo la morte dell’autrice Alessandra Saugo, la cui voce viene definita da Moresco indomabile, intollerabile, inclassificabile, politicamente scorretta, scatenata, delicata, traumatizzata, comicodisperata, delirante, perturbante, urticante, unica. Miglior presentazione non potrebbe esserci, per un libro che procedendo per frammenti viene a formare molto più di un testamento spirituale, ma piuttosto un corpo pieno, unico, presente, immortale.

Ferocemente, Saugo scrive quello che potrebbe sembrare un malincomico diario, o un testamento triste, o ancora un appassionato memoir come tanto va di moda dire oggi, ma che diventa qualcosa di più nel momento in cui la scrittura da intima si fa universale, trascendendo dal mondo, ma senza inacidire, nonostante il male che sempre travolge la vita della protagonista. Ferocemente, Saugo descrive ciò che vede, e che sente, sia che si trovi nello studio del famoso psicologo dinamico, sia che si trovi davanti alla televisione con la solita sfilata di casi umani.

Ma forse che casi umani non lo siamo tutti, sembra dare a intendere l’autrice parlando con il suo amico John, nome effimero ed evanescente come a dire Caro diario, eppure chissà che non esista davvero, questo John, e non rientri tra i colleghi più volte tirati in ballo per nome e per cognome, e che non sempre ne escono bene in un mercato editoriale sempre più marcio (?). E poi ci sono le donne che vanno dallo psicologo dinamico per essere curate, ma per cosa non si capisce, queste donne a orologeria programmate per un’unica cosa, pare, col marito traditore sempre appostato dietro l’angolo.

Sembra avercela con tutti, Alessandra Saugo, non salva nessuno, nemmeno la povera cantante morta alcolizzata, distrutta, sfruttata, forse giusto quell’altro cantante che la culla nella notte, eppure la voce di Alessandra è così distante da non poter far male, come se stesse osservando da lontano, delicatamente, ma soprattutto sofferente, consapevole del poco tempo rimasto, della brevità della vita a disposizione. Siamo così piccoli.

E allora guardare, ma non toccare, scrivere semmai, porre fine al delirio di una vita malata che sta per chiedere il conto, rifugiarsi in ciò che è rimasto e rimarrà nonostante il paradiso (?) perduto: la piccola e infinita bellezza di una figlia appena nata: ecco ciò che commuove nel mistero di una vita (una morte) incomprensibile: può esistere un regalo più grande che una madre, la madre, può fare? Parole, parole, parole. Nostalgia infinita.

«Alessandra è una scrittrice feroce, ma solo perché la sua musa è il trauma. In lei c’è ferocia perché c’è delicatezza: le due cose sono inseparabili. Proprio perché in lei c’è delicatezza, proprio per questo le cose che la toccano, la sfiorano, l’attraversano hanno l’impatto di un’ustione e di un trauma. Ma è proprio questo che le dona una seconda vista, che la rende più perspicace, più potente e inarresa, più scatenata e persino più baldanzosa e scherzosa. Le persone che hanno il pelo sullo stomaco, le persone che sanno bene come va il mondo e che sanno trarne vantaggio non hanno bisogno di essere feroci. Sono le persone inermi, sono le persone che hanno aspettative e aneliti e che subiscono delusione e trauma a registrare così il loro impatto col mondo e con il buio del mondo (“È per delicatezza che ho perduto la mia vita”, scrive Rimbaud.) E io ho potuto conoscere di persona quanto fosse grande la sua delicatezza, fin negli ultimi istanti della sua vita e nei messaggi che mi sono arrivati da lei persino dal suo letto di morte». (Antonio Moresco)

 

Lucio Carbonelli

la forza della gentilezza e il potere dell'immaginazione

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