Nous sommes pareils à ces crapauds|Ali

Nous sommes pareils à ces crapauds

Nous sommes pareils à ces crapauds | Ali, due pièce create da  Ali Thabet e Hedi Thabet, sono andate in scena al Teatro Nuovo di Napoli il 12 ed il 13 luglio 2016 nell’ambito del Napoli Teatro Festival. Due spettacoli costruiti in momenti diversi: il primo nel 2013, il secondo nel 2008. Nati inizialmente senza alcun proposito di connessione, in seguito sono diventati l’uno la naturale continuazione dell’altro, anzi, la fusione pura. Le due pièce, infatti, sono nate per coesistere in un mondo senza tempo e senza confini se non quelli attribuiti dall’anima.

Nous sommes pareils à ces crapauds è ispirato ad una poesia di René Char che è al contempo il suo punto di partenza:

Nous sommes pareils à ces crapauds qui dans l’austère nuit des marais s’appellent et ne se voient pas, ployant à leur cri d’amour toute la fatalité de l’univers / Somigliamo a quei rospi che nell’austera notte delle paludi si chiamano e non si vedono, piegando al loro grido d’amore tutta la fatalità dell’universo.

La fatalità dell’universo è quanto si dispiega dinnanzi agli occhi degli spettatori in questo intimo cerimoniale di musica e poesia dove la verità viene percepita poco per volta, come la luce che si irradia attraverso piccoli frammenti. La spazio scenico è libero. Una lampada posta al centro illumina il palcoscenico. Ad un lato due sedie libere e dall’altro la piccola orchestra diretta da Sofyann Ben Youssef, due musicisti greci e due tunisini che dialogano attraverso il repertorio rébètiko e quello tunisino, voci arabe che si fondono con quelle greche per raccontare amore, gioia e dolore.

Entrambi gli spettacoli sono rappresentazione delle relazioni umane fondamentali. Il primo parte dal tema del matrimonio dove è ricorrente la circolarità. Un uomo e una donna vestiti con abiti da cerimonia  entrano in scena disegnando a passi lenti ed intervallati da movimenti corporei e giochi di luce grandi cerchi. All’interno di essi si dispiega la storia di un triangolo amoroso: una donna tra due uomini che sono l’uno il riflesso opposto dell’altro. Una lotta rude, brutale e fortemente passionale dove dolcezza ed irruenza sono sottomessi e padroni l’uno all’altro nell’ambito di una relazione a tre che, nell’alternanza di tali sentimenti, si presenta come perfetta: il marito (Mathurin Bolze) si distacca e Hedi Thabet con le sue stampelle fonde il suo corpo con la donna (Artémis Stavridi) che salendogli sulle spalle disegna con il suo abito bianco il profilo di un uccello con lunghe zampe. Quando tra i giovani sposi regna l’armonia Hedi irrompe con forza. Ognuno, a suo modo, interviene a chiudere il cerchio, che sia d’amore, o di rabbia, o di semplice tenerezza.

In questa danza di avvicinamento ed allontanamento, nonché avvicendamento dei ruoli, i tre costruiscono una nuova geografia dei corpi che esplorano la complessità umana rappresentando gli scenari infiniti del triangolo amoroso. L’assenza di parola passa del tutto in secondo piano. La tensione dei corpi, la danza dei tre in una continua tensione tra l’essere vicini e l’essere lontani, l’essere un tutt’uno e l’essere elementi separati, viene maggiormente messa in risalto dalla musica che accenta ed accarezza ogni movimento in scena.

La seconda pièce, Ali, è la storia di due uomini, due amici, due nemici, simbolo del superamento delle barriere: l’handicap di uno dei due viene superato, come nel primo spettacolo, dalla fusione dei corpi che dà vita a forme nuove e strane. E così camminano, ballano, litigano nella fusione di questo terzo corpo che diviene sublimazione  della loro complicità. Insieme ma pronti a separarsi, senza retorica banale, senza compatimenti, senza vincoli prestabiliti ma liberi di essere e di fare quello che sentono: accarezzarsi e se è il caso darsele di santa ragione. Una storia di amicizia forte che ha riportato in scena Hèdi dopo la malattia che gli ha fatto perdere la gamba.

Le emozioni veicolate dalla geometria dei loro corpi hanno un effetto devastante sul pubblico che resta folgorato dalla forza di queste due brevi rappresentazioni. Corpi imperfetti tenuti assieme da una simbiosi che va oltre i legami fino a divenire completamente l’altro, un’estensione dell’altro. Due storie che spiazzano, nonostante l’assenza di linguaggio, per la forza emotiva e fisica degli interpreti in scena, intenti nella proposizione di forme non usuali, che vanno oltre il corpo stesso, e che proprio per questo diventano sedimento di ogni sentimento. Teatro, musica e danza diventano un unico grido d’amore.

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *