Nel nome di Ciccio (e di un teatro che non c’è più): evviva i Virtuosi di San Martino!

Non poteva esserci omaggio più rispettoso e dissacrante di quello che hanno proposto i Virtuosi di San Martino al Teatro Trianon di Napoli. Già a partire dal titolo, Nel nome di Ciccio. Omaggio a Nino Taranto, l’ensemble da camera, fondato nel 1994 dal violoncellista genovese Federico Odling e dal cantattore Roberto Del Gaudio, promette uno spettacolo sulla macchietta napoletana, partendo proprio dal Ciccio Formaggio di Nino Taranto, tra l’altro originario di Forcella. In realtà, si tratta più di un percorso originale e smitizzante sul caffè-concerto e l’avanspettacolo che, attraverso una singolare partitura drammaturgica (ad opera di Del Gaudio), fa incontrare il teatro-canzone alla Gaber con le invenzioni di Fo e Carmelo Bene in una soluzione armonica a metà tra Kurt Weill e Tina Pica. La Canzone Pettegola, ad esempio, viene cantata su di una sedia, con lo schienale al contrario, e diventa l’occasione per inserire, nel mezzo, il famoso monologo del “Professore” di Eduardo (da “Questi fantasmi”) attualizzato con temi molto sentiti come la turistificazione di Napoli. La costruzione drammaturgica di Del Gaudio attinge dal teatro classica ma rimescola e unisce, come in un jukebox all’idrogeno, i Diari intimi di Baudelaire con il Mistero Buffo di Dario Fo, l’Amleto beniano con le invenzioni di Totò e, addirittura, nel campionario offerto virtuosisticamente da Del Gaudio, spunta anche un frammento servilloide.

Quello dei Virtuosi è un teatro musicale che coniuga sapientemente alto e basso, una comicità raffinata ma, allo stesso tempo, basata su lazzi e doppi sensi. Anche questo, d’altronde, è virtuosismo ed ecco, quindi, inanellati uno dopo l’altro i grandi classici della macchietta e dell’avanspettacolo, arrangiati e rielaborati da Federico Odling. Ci sono Ciccio Formaggio, Carlo Mazza e Nicola Quagliarulo e altre grandi invenzioni della coppia più importante dell’avanspettacolo napoletano, Pisano-Cioffi.

“Nel nome di Ciccio” è un lavoro complesso e stratificato, frutto di una ricerca che i Virtuosi di San Martino portano avanti da quasi trent’anni, che rimescola e fa deflagrare tutti i caratteri propri della recitazione scenica. E, come sempre, si ha la sensazione di aver assistito a un qualcosa di unico, di pensato, di studiato ma, soprattutto, libero.

Qui, forse, c’è meno la satira pungente di Del Gaudio ma c’è sempre la perfezione formale e il fine (ma anche spregiudicato) valore estetico ed espressivo dell’ensemble. Ritmi e armonie accattivanti all’interno di una struttura congeniata dove il mariachi di Sequezia di Spezia si scontra con gli echi rossiniani di Tititì, Tititì, Tititì. Insomma, una gioia per gli occhi e le orecchie che ha omaggiato, sul finale, giustamente, il troppo dimenticato Francesco Silvestri. Bis meritatissimi e ovazione finale.

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