Liolà: il giustiziere semplice di Arturo Cirillo

Liolà

Liolà, commedia di Luigi Pirandello, ha inaugurato la stagione teatrale 2016-2017 del Teatro Stabile di Napoli. Un classico del 900 affidato alla regia di Arturo Cirillo, regista napoletano tra i più interessanti della nuova generazione, e sarà in scena al Teatro San Ferdinando dal 19 al 30 ottobre 2016, apripista della Stagione d’Autore.

Andato in scena per la prima volta il 4 novembre 1916 al Teatro Argentina di Roma con la Compagnia di Angelo Musco, la commedia non ottenne grande successo di pubblico e di critica per la difficoltà dei dialoghi, interamente scritti nel dialetto di Agrigento, a cui Pirandello era intrinsecamente legato e che riteneva più espressivo della lingua italiana. Tuttavia lo scarso successo ottenuto indusse lo scrittore siciliano ad un nuovo allestimento nel 1927 con stravolgimenti sia testuali che di lingua, allontanandosi dalla naturale musicalità del dialetto per rinascere nella lingua italiana.

Un testo vitale, istintivo e viscerale quello portato in scena da Cirillo che se a prima vista sembra essere distante dalla cultura della nostra città, di fatto presenta con essa profondi legami: da un lato la semplicità della vita rurale è sintomo dell’animo semplice e gioviale del protagonista dell’opera, dall’altro, al contempo, è sintomo di un’ambiguità latente dove il possesso, l’avidità e la sterilità, presunta o reale, sono la maschera dietro cui si cela un mondo discriminante e arretrato.

La scena si apre sulla campagna agrigentina, a tratti secca e spoglia. Seduti ai suoi piedi, disposti in fila attorno ad un un lungo tavolo immaginario, i protagonisti della storia.  Mita (Giorgia Coco), La Moscardina (Sabrina Scuccimarra), Comare Gesa (Antonella Romano), Ciuzza (Viviana Cangiano), Luzza (Valentina Curatoli) e Nedda (Giuseppina Cervizzi) sono intente a schiacciare mandorle nel podere di zia Croce (Milvia Marigliano). Su di loro gravano gli occhi tediosi di zio Simone (Arturo Cirillo) e di sua nipote Tuzza (Giovanna Di Rauso), seduti agli estremi di questo banchetto rurale, dove tra chiacchiere e canti gioiosi  scorrono le vite di una comunità che solo in apparenza sembra non essere pervasa da turbamento alcuno celando dietro un sottile velo un desiderio latente di sopraffazione.

In questo microcosmo regolato nelle sue piccole e remote strutture vive Neli Schillaci detto Liolà (Massimiliano Gallo), spensierato dongiovanni, bracciante canterino, uomo dalla moralità maliziosa e disinteressato alla povertà morale che attanaglia la commedia, col suo essere innocente stempera i toni drammatici della commedia attribuendole un’intensità umoristica e molto leggera. Liolà è un puro in un società gretta, l’uomo semplice che in modo spesso inconsapevole sovverte l’ordine precostituito respingendone le regole e sconvolgendone le vite. Tratto tipico dell’opera pirandelliana che cela dietro l’apparente trasgressore il testimone unico della non razionalità dell’agire umano che diventa giustiziere riparando, a suo modo, torti ed ingiustizie perché non sempre i figli del lupo nascono con i denti.

Per Liolà il mondo gira e pare un carosello. Gira veloce e brioso, trascina tutto, sconvolge tutto e Massimiliano Gallo ne veste i panni con naturale convinzione tenendo alta l’attenzione del pubblico e leggero il suo animo.  Le sue piroette, verbali, i continui andirivieni tra canto e prosa sdoganano candidamente le ritrosie del tessuto sociale, oggi come allora, rendendo universale il messaggio dell’opera.

Il tempo della storia è un tempo puramente figurativo non ancorato al luogo della campagna agrigentina.  La contrapposizione tra il vecchio ed il nuovo, il tentativo, forse vano forse no, di segnare il tempo attraverso un passaggio di consegne, attribuiscono all’opera un carattere universale veicolando in maniera potente un confronto sul tema della paternità, nell’estensione più ampia del concetto, che diventa il cardine della narrazione. Laddove la società con le sue regole dall’alto fallisce interviene l’innocenza burlesca, deus ex machina, che in un modo tutto personale prova ad appianare le cose. Suoi antagonisti Milvia Marigliano e Arturo Cirillo, decani dell’ordine, radicati fino al midollo nella consuetudine popolare, pronti a difenderla da ogni tentativo di messa in discussione in virtù del perseguimento della stirpe, costi quel che costi, e dell’avidità dell’uomo sulle cose, l’avere più che l’essere.

Arturo Cirillo è uno zio Simone dal passo lento e pesante. Si trascina nelle splendide scene di Dario Gessati portando sulle spalle tutto il peso dell’avidità umana. È un uomo chiuso nel suo mondo, triste e deluso ma soprattutto fallace d’amore: non ama nessuno compreso se stesso. Amore è avidità verso le cose e desiderio feroce di una prole, non come continuazione naturale della vita ma piuttosto transazione materiale: tutta la sua roba a chi andrà senza un figlio? E quale sarà il suo ruolo sociale senza un figlio?

Difficile non apprezzare il lavoro di Arturo Cirillo nell’allestimento dell’opera pirandelliana che riprende quasi interamente liberandola dalla presenza del personaggio della madre di Liolà  conferendo, in questo modo, maggiore ampiezza ai due protagonisti in scena che diventano portavoce di due mondi alle prese con un dialogo costante che rimbalza da parte a parte esaltando talvolta i toni del dramma e talvolta i toni della commedia e cogliendo perfettamente la sostanza della pièce. Il lavoro sugli attori è preciso, cosciente, in grado di esaltare le singole specificità: l’azione in scena è vita; fuori di essa è immobile attesa. Vita e morte che interagiscono all’interno di un quadrato magico passando attraverso le sapienti mani della regia.

La scena è un piccolo gioiello dorato, ornata di pochi e semplice elementi ma di grande effetto. La campagna agrigentina, s’innalza divenendo tableau di fondo lasciando comparire sotto le sue spoglie un sottile strato adorno d’oro sul quale gli attori camminano a piedi nudi e che riflette prepotentemente, quasi ad accecare, i raggi del luminoso sole delle ultime battute. Un mondo circolare che procede dall’esterno all’interno e che termina lì dove tutto è cominciato per accogliere la giustizia semplice e bonaria del suo protagonista. Meravigliosa Milvia Marigliano, sanguigna come l’abito rosso che l’avvolge, frutto della sapiente arte di Gianluca Falaschi.

 

Liolà

di Luigi Pirandello
regia Arturo Cirillo

con Massimiliano Gallo
Arturo Cirillo
Milvia Marigliano
Giovanna Di Rauso
Giorgia Coco
Sabrina Scuccimarra
Antonella Romano
Viviana Cangiano
Valentina Curatoli
Giuseppina Cervizzi
e con gli allievi della Scuola del Teatro Stabile di Napoli (secondo anno) Emanuele D’Errico, Antonia Cerullo, Francesco Roccasecca

scene Dario Gessati
costumi Gianluca Falaschi
luci Mario Loprevite
musiche e drammaturgia vocale Paolo Coletta

 

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