Vincenza Di Vita: lo Stato sostiene il teatro perché il teatro è lo Stato

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Vincenza Di Vita ha conseguito il dottorato di ricerca in Scienze Cognitive presso l’Università di Messina con un curriculum di studio denominato “Arti Performative-Richard Schechner”. Si è occupata di un progetto di ricerca su Carmelo Bene e il femminile. Nel 2015 ottiene una borsa di ricerca per il progetto “SabirFest-cultura e cittadinanza mediterranea”. Professore a contratto dal 2014 presso il DAMS del Dipartimento di Scienze Cognitive, Psicologiche, Pedagogiche e degli Studi Culturali dell’Università di Messina, in Discipline dello Spettacolo; insegna Sociologia dello Spettacolo, Storia della Danza e del Teatro, Cinema e Fotografia presso il CAMS di Acireale. Nel 2012 ottiene una borsa di studio semestrale, come professore assistente, insegnando nel Dipartimento di Studi Umanistici, dell’Università di Toruń (Polonia). Dal 2014 cura l’archivio multimediale di Mimmo Cuticchio, oprante e puparo. Ha ideato e curato il progetto “#CRISI”, per la XXXV edizione delle Orestiadi di Gibellina. Ha curato e diretto riviste e quotidiani di critica per festival di teatro. Come poeta, performer, giornalista e critico teatrale, oltre che come studiosa, ha pubblicato contributi scientifici nel campo degli studi culturali. Nel 2016 è tra i finalisti del Premio Nico Garrone “per i critici più sensibili al teatro che muta”.

 

Se volessimo cominciare un’analisi della situazione di crisi culturale del teatro italiano, da quali segnali dovremmo partire? Secondo te, la crisi del teatro potrebbe essere la diretta conseguenza di una crisi generazionale, d’identità e di opportunità? Quali sono i tempi e modi del suo sviluppo?

Perché si possa parlare di crisi è necessario avere segnali di ferite. Ho sempre dato un significato positivo alla parola “crisi”, credo quindi sia una opportunità che è presente in un tessuto sociale consapevole, che si batta per una consapevolezza civile. La crisi non è un fatto anagrafico o culturale è una possibilità di aderenza alla bellezza. I tempi e i modi di questo sviluppo sono i medesimi che caratterizzano una involuzione nell’essere umano che invecchiando assume in sé la tenerezza di un bambino, sono fisiologici e percettivi, non vi può essere una misura in questo.

Si può affermare che la crisi del teatro possa dipendere anche da una mancanza di idee teatrali forti?

La idea di “teatro” è una entità talmente forte che sopravvive alla “mancanza” negandosi a se stessa, esibendosi e manifestando sulla scena le assenze e le domande da porre allo spettatore, sia che si tratti del teatrante-spettatore sia che si tratti dello spettatore in un senso etimologico. È la visione a essere assenza ed è indubbiamente forte.

Qual è la funzione sociale del teatro oggi? Quali necessità soddisfa?

La funzione sociale del teatro non è collocabile in un tempo ma è uno dei fatti squisitamente umani che soddisfano la necessità di interrogarsi, di entrare in crisi.

Si può credere a un rinnovamento del teatro o siamo in attesa di un modello culturale che possa scuotere le coscienze?

Il teatro si rinnova continuamente nel suo dono dato e concesso anche sulla pagina bianca e sui corpi e nelle voci e negli sguardi e nelle percezioni tutte di chi condivide la esperienza teatrale. Il silenzio che precede la domanda e la umiltà di sapere che non sempre esiste una risposta è il modello a cui aspirare.

Lo Stato sostiene il teatro in Italia? Se sì, ne beneficiano tutti?

Lo Stato sostiene il teatro perché il teatro è lo Stato: se lo intendiamo in questo modo la risposta è indubbiamente affermativa.

Le due misure più estreme ed urgenti da mettere in atto, secondo te.

La misura più estrema è non avere misura. Due ingredienti fondamentali da mettere in atto sono da sempre l’ascolto e l’azione, entrambi però motivati da un innamoramento.

Ha ancora senso mettere in scena i classici? O andrebbero “tolti di scena”? Quanto influisce la scelta politica di un direttore artistico?

I classici hanno senso e sentimento, nella mancanza alla quale mi riferivo in una precedente risposta, quindi nella loro generosità di accogliere una diminuzione: “togliendosi di scena”. La scelta di un direttore artistico deve essere politica, se non è così si può anche di-mettere, mettendosi in scena.

Si può parlare di “dittatura teatrale” nel mondo delle arti in scena? Se sì, perché?

Il teatro è strutturato in maniera gerarchica, ma la orizzontalità dei ruoli impone un regime che sia regolato dal totalitarismo erotico del fatto teatrale: è una chiamata all’amore. L’amore è sempre un dialogo tra rapporti di potere.

È possibile un “teatro della crisi” in cui artisti, spettatori e critica trovino un punto in comune?

Perché è possibile il contrario?

Quant’è importante lo spettatore a teatro? Quanto è necessario investire nella formazione di un pubblico consapevole?

Lo spettatore è un teatrante e investire sulla sua formazione è fondamentale tanto quanto lo è investire sulle scuole di teatro o sulla educazione scolastica.

Extra: Prima di salutarti, ringraziandoti per la collaborazione, ti chiediamo un’ultima riflessione: qual è la tua missione teatrale? Come immagini la situazione culturale e teatrale italiana nei prossimi cinque anni?

La mia non è una missione. Il teatro è per me amante, marito, madre, fratello e nemico. Accompagnare gli artisti con i quali avviene un innamoramento reciproco è ciò che intendo continuare a fare, adesso nello istante. A teatro non si concede immaginazione se non nella unicità temporale. La prossimità è alterità nel qui e ora.

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