Swell Maps: biografia e discografia

Siete stufi di buttare lì sempre i soliti tre-quattro nomi nelle vostre discussioni da bar sulla New Wave? Volete rivedere sul volto dei vostri amici la stessa espressione curiosa di quando avete citato per la prima volta i Television Personalities? Eccovi un consiglio prezioso, una piccola guida a un gruppo di culto che vi aiuterà a distinugervi in società anche in questi tempi in cui sembra che No New York sia ormai nelle case di tutti: gli Swell Maps.

Attivi in embrione dal 1972, i Maps sono il frutto delle elucubrazioni musicali e non di una coppia di fratelli dai cognomi diversi, Nikki Sudden e Epic Soundtracks, alias Nicholas e Kevin Godfrey – il primo chitarrista, il secondo batterista – e il tipico prodotto del contesto sociale e artistico dell’Inghilterra dei tardi anni ’70: in un quartetto che comprendeva anche Jowe Head al basso e Richard Earl alla chitarra, gli Swell Maps riuscivano come alcuni altri gruppi loro contemporanei a fondere, in nome della libertà estetica di cui tutti si accorsero dal ’76 in poi, le influenze più disparate. A differenza dei gruppi punk più ‘istituzionali’, peraltro, gli Swell Maps andavano a coprire un’area musicale che era antifoncormista nello spirito ancor prima che nella forma, e non si vergognava di pescare a piene mani dall’eredità musicale rock britannica senza sputarci sopra a priori – dote, questa, condivisa con pochi altri (vengono in mente i Fall o i TV Personalities, per restare nell’ambito ‘New Wave’).

Per quel che ci riguarda siamo convinti di tutto ciò dopo ripetuti ascolti dell’album di esordio degli Swell Maps: pubblicato nel 1979 su etichetta Rather, fondata dalla band e distribuita da Rough Trade (strano, eh?), A Trip to Marinevillesuona ‘punk’ perché sferragliante e poco organizzato, ma ha anche momenti di follia nipote della psichedelia d’antan (la coda di Bridge Head, Pt.9 è puro caos barrettiano), e indugia spesso in parentesi strumentali o rumoristiche. Uno strano punto di incontro, come detto, tra le influenze britanniche più disparate: ci sono l’irruenza e l’incisività dei primi Damned, o l’indolenza dei Fall, o più in generale uno strano miscuglio di krautrock e lo-fi ante litteram (addirittura, stando alle parole dei fratelli Godfrey, Gli SM si proponevano come una ‘miscela di Can e T. Rex’). Il bello è che è difficile che tutte queste influenze rimangano scollate le une dalle altre, per tutto il corso dell’album: H.S. Art o Another Song sono troppo ironiche per essere davvero ‘punk’, il mini-medley a 100 all’ora Full Moon in My Pocket / Blam!!! / Full Moon Reprise è qualcosa che va sia oltre il punk che il krautrock, e non è né uno né l’altro, e monoliti come Gunboats o Adventuring into Basketry, col loro strisciare tra dark e noise prefigurano molto di ciò che sarà l’indierock negli anni ’80 e ‘90 (date un’occhiata alle poche informazioni che si trovano in rete sugli Swell Maps e vedrete citati più di una volta Sonic Youth e Pavement).

Nel 1980 il gruppo, sempre sotto l’ala di Rough Trade, dà alle stampe Jane from Occupied Europe, un album che, al contrario del ‘classico secondo disco’ che mette meglio a fuoco le idee espresse nel primo, preme ancor di più sull’acceleratore dell’incoerenza e dell’eterogeneità. Gli umori psich-dub che tanto piacevano all’epoca trovano anche qui accoglienza, spalla a spalla con stupidaggini circensi e oscurità poco credibili, che sembrano a seconda dei casi i primi Pink Floyd trapiantati a Kings Road nel ’76 (la bellissima Let’s Buy a Bridge) o i tardi Joy Division trapiantati a San Francisco nel ’67 (Cake Shop). I momenti strumentali occupano qui più di un terzo della scaletta e hanno titoli come Collision with a Frogman – il che, lo sapete bene, costituisce una miscela perfetta per vendere poche copie e avere un seguito affezionatissimo tra i nerd musicali più incalliti, sempre pronti a stupire i propri amici a colpi di The Helicopter Spies (altro pezzo che fa tranquillamente concorrenza ai Fall) o di Blenheim Shots (‘altro che i Sebadoh!’).

L’ora dello scioglimento arriva piuttosto alla svelta, nel 1980, prima di un tour negli USA, per gli Swell Maps. I loro semi rimangono però sparsi ovunque: Sudden continuerà negli anni la propria carriera, sia da solista che con i Jacobites, dei quali farà parte anche Soundtracks; quest’ultimo (tristemente scomparso nel 1997) figurerà anche nelle formazioni di Crime and the City Solution, e These Immortal Souls, oltre che come titolare di un pugno di buoni album solisti di taglio ‘cantautorale’. Jowe Head, tra le tante collaborazioni, ne può vantare anche una coi… Television Personalities. Tutto questo sarebbe abbastanza per farcire altri tre o quattro Time Capsule, ma per quel che ci riguarda siamo soddisfatti, per ora, di avere speso qualche parola sull’ennedima formazione di outsider che fa sempre piacere scoprire.

Prima di chiudere, un breve nota discografica: i due album degli Swell Maps sono stati ristampati negli anni ’90 su Mute, con la consueta dose di outtakes, singoli e mercanzia varia; dedicate ai curiosi e/o ai completisti sono poi le compilation Train Out of It (Elektra, 1987, ricca di outtakes non inserite nemmeno nelle ristampe), Collision Time Revisited (Mute, 1989, sorta di ‘best of’ ufficiale), The International Rescue (Alive, 1999, anche questa pesca nel torbido delle outtakes e dei singoli) e Sweep the Desert (Alive, 2001).

Articolo di Luca Fusari

 

 

 

 

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