Some girl(s)

some girl(s)

Michela Palermo

 

 

 

 

 

 

In scena al Piccolo Bellini di Napoli dal 20 al 24 gennaio 2016 Some Girl(s), pièce del 2005 di Neil LaBute, autore, sceneggiatore e regista cinematografico statunitense che ha raccolto l’eredità del post David Mamet, diventando tra i più acclamati della sua generazione. Marcello Cotugno con la sua regia porta a teatro un piccolo capolavoro contemporaneo estremamente attuale per l’analisi, talvolta ironica talvolta amara, del rapporto tra i sessi, specchio della nostra società.

La pièce è la storia di Guy, Gabriele Russo, che ad un passo dal matrimonio, traguardo ideale della vita adulta, e prima di salutare la prolungata adolescenza e abbandonarsi alla vita delle responsabilità, decide di fare ordine nel proprio passato chiarendosi con le donne che lo hanno amato e che puntualmente lui ha lasciato e deluso. Una presa di coscienza a prima vista encomiabile, ma che potrebbe celare anche dell’altro.

Una stanza d’albergo. Un letto matrimoniale, comodini, frigo bar, una scrivania. Buio in scena. Guy seduto di spalle. Entrano quattro donne dai quattro angoli del palcoscenico. Tacchi alti, tubino, foulard che cinge la testa, occhiali scuri, trench abbottonato, tirano fuori dalla borsa a spalla petali di rose rosse che spargono lungo il perimetro della stanza. Quattro donne qualsiasi, così nascoste nel loro abbigliamento da sembrare tutte uguali, un unico fantasma del passato, se non fosse per il colore della borsa, verde, rossa, blu, nera. Colori dominanti dei successivi quattro incontri col passato.

Guy gira gli Stati Uniti volto alla pacificazione col passato. Eliminare i casini lasciati sospesi, chiarire i non detti, ripartire da zero, pulito, candido, diventare adulto, impegnarsi per la vita con la sua attuale compagna, essere fedele e assumersi le responsabilità. Diventare finalmente un uomo, non più sospeso tra desiderio di eterna adolescenza e aspirazioni pseudo intellettuali da uomo adulto. Rintracciare se stesso attraverso l’universo femminile. E per riprendersi la sua verginità sentimentale inizia un dispendioso tour tra anonime camere d’albergo e rencontre sentimentali. Sembra di leggere le pagine di un romanzo. Strana casualità per Guy, scrittore o aspirante tale.

Nel suo completo grigio, serio, Guy attende la sua prima ex, Sam. A Washington, the ever green state. Verde. Sam è la sua prima fidanzata, quella del liceo, oggi moglie e madre, in cui ancora arde il ricordo di quell’amore romantico, forse l’unico che abbia mai provato. Lei, lasciata senza una spiegazione poco prima del ballo studentesco, lei quella delle promesse matrimoniali adolescenziali, lei la fidanzata ufficiale per due anni, lei che non ha mai dimenticato. Ora è sposata con un dirigente del personale di un supermercato, un dirigente, e non manca di sottolinearlo. Nella corsa alla scelta delle parole giuste e delle giuste giustificazioni (lui non solo l’ha piantata ma è andato al ballo con un’altra) Guy si scopre. Al liceo è scappato via perché impaurito dall’immagine della sua prospettiva di vita: sposato, con figli, cassiere in un supermercato. Esattamente quello che sarebbe diventato continuando la storia con Sam. Lei che sopperiva la mancanza chiamando la madre di Guy fingendo di essere l’addetta ad una riffa, crolla. L’irrisolto viene fuori e con esso il trasporto che Sam ancora nutre e lo bacia. Ma Guy non può, sta per sposarsi. La notizia la sfianca, ma ora Guy è pulito, o quasi,  e la congeda. Lei gli chiede il nome dell’altra e pagina dell’almanacco scolastico, così da poterne vedere una foto. Piange, si ricompone e va via.

Pronto a ripartire. Altro viaggio, altra stanza d’albergo. Illinois, the land of Lincoln e Tyler. Rosso. Per Tyler il tempo sembra essersi fermato. Una donna sensuale, disinibita e molto indipendente. Un incastro perfetto per Guy, quasi un suo doppio, la stessa testa. Lei così libera, ai tempi della loro storia ha solleticato le fantasie sessuali più nascoste del nostro protagonista, e anche ora non è da meno. Guy a fatica riesce a non andare molto oltre consapevole di aver preso questa specie d’impegno, il matrimonio, e di doverlo rispettare, proseguendo sulla strada donchiosciottesca dell’abbattimento dei torti. L’attrazione tra i due è molto forte, si toccano, si baciano, si passano il fumo sfiorandosi le labbra. Ciononostante anche questa forte sinergia è crollata tutta d’un colpo in seguito ad un litigio all’apparenza molto banale. Litigio che in realtà nascondeva un senso di colpa molto forte in Guy, il pensiero di un’altra ragazza lasciata per stare con Tyler. Lei ha sempre saputo di essere la seconda e si è nascosta dietro questa sua finta superficialità. Abbattuti i mulini a vento, si riparte.

Massachussetts, welcome you, Lindsay. Blu. La donna matura, la cui colpa è l’aver creduto alle lusinghe d’amore del suo allievo col quale ha tradito suo marito, ora rettore dell’università presso la quale insegna e dove ha insegnato anche Guy. Scoperta con l’amante, ridicolizzata e per giunta piantata in asso una volta raggiunti i suoi obiettivi, ora è una donna nevrotica, preda dei tranquillanti, incastrata in un matrimonio con un uomo più anziano, che tra l’altro l’aspetta di sotto in macchina. Durante l’incontro col suo ex amante, per il quale nutre ancora sentimenti profondi,  Lindsay, o Lilly come lui la chiama, cerca di ridicolizzarlo spinta da un’apparente sete di vendetta: vuole dare alla sua futura moglie lo stesso dolore che a suo tempo ha provato suo marito, e affinché i conti vengano chiusi devono fare l’amore. Non si può, si può, ma no, ma si, in questo eterno conflitto alla ricerca di se stesso, Guy lentamente resta in mutande, viene bendato e si sdraia sul letto immerso nei racconti dei vecchi tempi. In un misto di disperazione  e senso di oppressione, Lindsay abbandona la stanza, lasciando il suo ex amante nudo e bendato.

Ultimo giro, California, the land of wine and food. Nero. Bobbi è la sua ultima fiamma, una donna molto affascinante, un medico. Di tutti gli incontri avuti quello con Bobbi è l’unico a far realmente vacillare il cuore di Guy, non perché spinto solo dal desiderio della carne ma perché è Bobbi il suo ideale di donna, quella che ha sempre cercato in tutte le altre. Guy è accecato da questa scoperta, talmente cieco da non rendersi conto di non potersi più controllare e in seguito ad una furiosa litigata, dopo essere scivolati entrambi sul pavimento, Bobbi scopre la bassezza delle sue intenzioni. Dalla scrivania fa capolino un microfono. Guy registrava il loro incontro, come del resto anche gli altri, per pubblicare le loro storie, mica su un giornale qualunque, ma su Vanity Fair. A nulla valgono le sue spiegazioni, Bobbi, scappa via. Guy guarda la cassetta, per un attimo sembra pentirsi, non può rendere pubblico il loro intimo e comincia a tirarne fuori il nastro. È finalmente pronto a mettere da parte il suo subdolo intento e a diventare finalmente un uomo? Squilla il telefono. È la sua futura moglie, il suo amore. Si sdraia sulla sedia, gambe poggiate sulla scrivania, perso in smancerie tra innamorati riavvolge con calma il nastro.

Some girl(s) è una pièce in bilico tra commedia quasi romantica e studio sociale delle complesse relazioni tra i sessi. È la storia di un eterno Peter Pan, di un eroe mai cresciuto e per questo molto attuale. Le fonti a cui attinge LaBute sono infatti Candido di Voltaire e i film di  Éric Rohmer: le caratteristiche del personaggio maschile dal primo per il suo uscire candido da queste situazioni che sembrano devastarlo ma che di fatto gli consentono di risorgere dalle proprie ceneri come una fenice e l’analisi approfondita sul mondo femminile dal secondo.

Queste quattro donne sembrano rappresentare quattro stereotipi, quattro cliché dell’universo femminile, il primo amore del liceo, l’eterna amante, la donna matura, la femme fatale, ben rappresentate tra l’altro dall’uso del colore per ognuna di loro, ma di fatto sono solo la chiave per l’indagine approfondita rispetto ai loro differenti mondi con una matrice comune, l’apparenza dietro cui si celano debolezze e fragilità risultato ultimo del vissuto personale. Guy è un uomo che vive nella liquidità dell’amore, come direbbe Zygmunt Bauman, leggero e libero da responsabilità, un modus vivendi che da un lato crea gratificazioni nell’immediato e dall’altro produce pedissequamente danni a chi lo circonda ma soprattutto a se stesso rendendolo un uomo privo di capacità decisionale, che vive in bilico tra il dubbio e il tormento.

Some girl(s) è un cammino libero dai clichè della commedia romantica grazie all’epilogo non banale che lascia il protagonista libero di vivere seguendo le proprie convinzioni, libero di abbattere i mulini a vento. La regia di Marcello Cotugno, profondo conoscitore di LaBute, centra perfettamente questo obiettivo grazie anche ad una riuscito gioco di luci e contrasti, oltre che di musica, che rendono perfettamente l’idea dello strato d’animo, oltre che di location, claustrofobico e tormentato. Gli attori in scena centrano in pieno i differenti mondi volutamente stereotipati e Gabriele Russo veste alla perfezione i panni di Guy, l’eroe cinico e superficiale e per questo molto vicino alla realtà, come se gli fossero cuciti addosso. Ne viene fuori uno spettacolo molto gradevole, in grado di far volare due ore in nulla, che mette sapientemente in evidenza elementi leggeri, ironici e divertenti lasciando allo spettatore una riflessione dalle sfumature più intime e profonde.

Al pubblico del Piccolo Bellini è stato consegnato un link per la visione del 5° quadro, Reggie, ultimo incontro di Guy.

 

Some Girl(s)

di Neil LaBute

regia, luci e colonna sonora Marcello Cotugno

con Gabriele Russo, Laura Graziosi, Bianca Nappi, Roberta Spagnuolo, Martina Galletta

scene Luigi Ferrigno

costumi Annapaola Brancia D’Arpricena

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