Scannasurice: la messinscena di Cerciello del testo di Moscato

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La nuova regia di Carlo Cerciello, Scannasurice, primo testo teatrale di Enzo Moscato del 1982, è in scena al Teatro Nuovo di Napoli ed è interpretato da una magistrale Imma Villa, nei panni di un travestito che dimora in una stamberga, come da nota dell’autore, nei Quartieri Spagnoli, circondata dalla munnezza e da tantissimi “surice”, topi, metafora di un popolo costretto, ancora una volta, a scappare, a fuggire, dai quartieri bassi a quelli alti, per trovare una redenzione.

La scenografia, però, restituisce un ambiente unico fatto di tanti piccoli loculi, grazie alla riuscitissima scenografia di Roberto Crea, che costringe l’attrice a inseguire il suo personaggio in spazi stretti e al suo corpo di adattarsi agli angusti anfratti della sua abitazione. Una scelta intelligente e fedele al gioco drammatico moscatiano dove anche il segno di interpunzione è utilizzato come elemento scenico.

In questa struttura a tre piani, buia e avversa, si impone la grazia e la carnalità di Imma Villa, che si avvale di microfoni nascosti per dare risonanza alla propria voce interiore, ombra dolorante, e al suo corpo per raccontare l’altra Napoli, antifolcorica, squassata da un forte terremoto che ha finito per accentuare le differenze culturali della città rendendola duplice. Il protagonista di Scannasurice, che incarna tutto questo, è, per questo, uomo e donna, santo e diavolo, tradizione e innovazione, una figura mitica e magica che si perde in un racconto torrenziale, tra il delirio e la profezia, la cui lingua è appestata e purulenta.

Non esiste medicina che possa guarire dal trauma di una città, che ha subito violenze ripetute, se non il “curaro”, il veleno per uccidere i topi, da versare nei tombini urbani per colpirla nelle viscere. Ma è altresì velenoso quel flusso verbale incandescente del “femminiello”, che diventa un solo corpo con i suoni di Hubert Westkemper, oscillando tra il gorgheggio flebile del melodramma (risuona dolce in quel tugurio “Sì, mi chiamano Mimì ma il mio nome è Lucia”, anche lei un doppio) e il silenzio roboante della Napoli delle “belle mbriane”, delle prostitute e di solitudini sconfinate.

Non ci sono le sirene nella Scannasurice di Moscato e non c’è il sole, nel bellissimo allestimento di Carlo Cerciello. Napoli è un luogo scuro, putrido, freddo: le luci di Cesare Accetta e le musiche di Paolo Coletta la sospendono in un purgatorio fatto di tanti suoni, note e parole che si sovrappongono per nascondere il vuoto di una città franata. L’intero lavoro, però, è imperdibile soprattutto per l’interpretazione struggente e magnifica di Imma Villa, una novella Isa Danieli, Gian Burrasca femmineo con la malinconia di Pierrot.

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