Salone del Libro 2018: (Cosmi)Cronache di venerdì 11 maggio

SECONDO GIORNO – VENERDÌ 11 MAGGIO

salone

(Qui la prima parte)

Siamo a venerdì. Doveva essere la mia giornata dedicata a David Foster Wallace, ma all’incontro non sono riuscita neppure ad entrare. Ad ogni modo, per quanto riguarda lui, la sera mi sono rifatta.

Ho assistito a qualche assaggio di Patricio Pron, scrittore argentino che presentava il suo ultimo libro pubblicato da Gran via Non spargere lacrime per chiunque viva in queste strade, e di Vanni  Santoni (in dialogo con Tito Faraci), autore dell’Impero del sogno (e da me stimato soprattutto come direttore della collana di narrativa di Tunuè), che si concentrava sulla fedeltà alle proprie ossessioni e sul tentativo di immettere nella letteratura una grammatica differente anche a livello formale – come può esserla quella del videogioco o dei giochi da tavolo.

Sono poi andata a fare il giochino che si sono inventati quelli de il Saggiatore: per farla breve, si ritira un cartoncino in stile gratta-e-vinci con i vari titoli in catalogo e, seguendo un percorso all’interno dello stand che illustra trame e significati a coppie di due, si sceglie per ogni coppia un titolo, fino ad esaurire quelli sul foglio. Infine si va in cassa e, in base al profilo psicologico che deriva dalle scelte, si ricevono due consigli tra i libri editi.

Il loro stand del resto colpisce subito, con quella forma labirintica che sta a simboleggiare emisfero destro e sinistro del cervello umano, e non è da meno, una volta entrati a osservare il percorso, la gentilezza senza limiti degli espositori.

Quelle de il Saggiatore sono proposte a cui sono ormai affezionata, con un catalogo che presenta autori straordinari. Ovviamente ci sono i saggi, e le raccolte di interviste ad alcuni dei miei artisti preferiti, tra cui David Lynch, David Bowie e Leonard Cohen. Ma forse non tutti conoscono ancora il suo catalogo di narrativa, una lista decisamente coraggiosa: tra gli altri, Thomas LigottiLászló DarvasiYoko OgawaEmma Glass. Autori inquietanti, immateriali, metafisici e psicologici (talvolta definiti appartenenti alla corrente nel “new weird”) tra i più validi della narrativa contemporanea mondiale.

ilsaggiatore

E finalmente, a un certo punto, ho assistito a un incontro.

Ma andiamo con ordine.

  • La mattina partecipo al firmacopie di David Trueba, autore, regista e sceneggiatore spagnolo (tra i film che ha diretto c’è Soldados de Salamina, tratto dall’omonimo romanzo di Javier Cercas). L’incontro avviene nella “Piazza dei Lettori”, uno spazio in cui troneggia una torre di libri circolare dall’altezza vertiginosa. È lo spazio di COLTI, il Consorzio Librerie Torinesi Indipendenti, che durante il Salone ha portato in Italia diversi importanti autori. Tra le altre cose, hanno inventato un’iniziativa molto interessante e divertente. Quest’anno il Salone ha proposto cinque domande- una per ogni giorno di Salone – agli autori. Le domande sono:
  1. Chi voglio essere?
  2. Perché mi serve un nemico?
  3. A chi appartiene il mondo?
  4. Dove mi portano spiritualità e scienza?
  5. Che cosa voglio dall’arte, libertà o rivoluzione?

Quelli di COLTI hanno invitato le persone che passavano di lì a rispondere alle stesse domande, su post-it o con un video.

torre di colti

  • Veniamo al vero e proprio incontro di venerdì. Caterina Soffici dialoga con Guillermo Arriaga, scrittore e sceneggiatore messicano – noto soprattutto per i film diretti da Iñárritu come Amores Perros (il film con cui ho conosciuto Arriaga, e una delle pellicole più dure, intense e toccanti che abbia mai visto), Babel o 21 grammi. Il suo ultimo romanzo è Il selvaggio , opera monumentale edita da Bompiani. Va detto e c’è poco da fare: Arriaga è una bellissima persona. Ironico, umile, è un intrattenitore nato. La prima cosa che fa, entrato in sala, è alzarsi in piedi. Dice che stare seduto, mentre quelli in fondo non possono vederlo, gli sembra una mancanza di rispetto verso coloro che sono venuti ad ascoltarlo. Vuole che tutti possano guardarlo negli occhi. Ci chiede poi il permesso per scattare una foto, felice come un bambino per il numero di persone che ha riempito la stanza. Il selvaggio è un romanzo che vede la luce dopo cinque anni e mezzo di stesura. Ci sono due storie che si legano: la prima comincia in Messico, la seconda in una foresta ghiacciata. Un ragazzino messicano che ha perso tutto, un ragazzino inuit che quel tutto lo sta ancora cercando. Già la copertina colpisce: un lupo che ha l’ombra di un uomo. Arriaga però smentisce subito i luoghi comuni: homo homini lupus, magari. Fossimo davvero lupi, avremmo molta più forza, lealtà. Il romanzo contiene un profondo amore per gli animali, che vuol dire prima di tutto rispetto. Oggi s’impedisce ai cani di essere cani e agli uomini d’essere uomini. Le relazioni con gli animali devono andare oltre la tenerezza. Del resto Arriaga è anche un cacciatore (solo con arco e freccia), uno che considera la caccia un rituale, uno dei pochi rituali rimasti all’uomo. La caccia senza capirne il motivo – quel gesto fatto da anni e anni già dai tempi preistorici. La letteratura stessa, dice, deriva da quei racconti intorno al fuoco: racconti di caccia. La natura è contraddittoria, e non si può pensare di scrivere senza comprenderlo. Il mondo interiore di uno scrittore è l’unica cosa importante; scrive bene chi conosce i propri mondi interni. Ma c’è anche tanto perdono, in questo libro fatto di spazi bianchi ed esperimenti tipografici d’ogni sorta. La cosa che più importa ad Arriaga è una. La sua letteratura non dev’essere una mano che esce dal libro per accarezzare. Dev’essere una mano che morde, che graffia, che ferisce. Ma che poi, arrivati alla fine, sia anche in grado di guarire.

(Post scriptum: dopo l’incontro c’è stato il firmacopie. Lui ha chiesto a tutti lavoro, studi, interessi, aspirazioni e sogni. La dedica doveva essere adeguata alla persona, non generica. Nell’incredulità generale ha lasciato la sua mail a un ragazzo che gli ha detto di studiare i lupi per lavoro, “devo farti un po’ di domande”. Penso che ricorderò la sua vigorosa e interminabile stretta di mano e le parole che mi ha detto – ma che terrò per me – per molto tempo, e gliene sono grata.)

guillermo arriaga

  • Anche se volevano negarmelo, la sera finalmente ho il mio momento David Foster Wallace. Alle 19 vado allo spettacolo teatrale dei La Ballata dei Lenna, collettivo di ricerca teatrale talmente folle da creare uno spettacolo sperimentale ispirato a Il re pallido di DFW (che, per inciso, è un romanzo incompiuto e, sempre per inciso, parla di burocrazia). Ci vuole un grande coraggio per proporre uno spettacolo teatrale – o come l’hanno definito loro, un docuteatro – durante un festival di letteratura, ancor più se lo spettacolo non è ovvio né semplice, ed è a tratti spiazzante. Certo il libro di Wallace è uno spunto di partenza per indagare una sfida oggi più forte che mai: la noia. Se sei immune alla noia non c’è niente che tu non possa fare. Questo il messaggio dei Lenna e, in fondo, anche del romanzo di Wallace. L’unica vera chiave per riuscire nelle cose è la capacità di non annoiarsi mai. Un’esplorazione innovativa e particolare che utilizza tra le oltre cose diversi video proiettati su schermo. La compagnia gioca inoltre con il pubblico, in un continuo stupore e in una voglia di rendere lo spettacolo il più possibile interattivo, in modo da far sì che lo spettatore abbia un ruolo attivo. Lo spettacolo dei Lenna ha debuttato l’anno scorso al Festival delle colline torinesi. Il titolo è: Human Animal.

human animals

DA TENERE D’OCCHIO

Le prime due case editrici che voglio consigliarvi in questo secondo giorno sono nate come case editrici di fumetti, ma si sono poi gettate anche nella narrativa con risultati decisamente validi e interessanti. La terza, invece, si distingue per il singolo genere che pubblica.

A voi:

  • TUNUÉ

La collana di narrativa di Tunué nasce grazie a Vanni Santoni, e la linea editoriale è decisa e sempre più dimostra coraggio e coerenza. Il concetto di base è lo “sconfinamento” (di genere ma anche di taglio, tono o lingua, come si legge sul sito). I romanzi pubblicati sono di lunghezza relativamente contenuta (mai oltre le 250.000 battute) e sempre di autori italiani contemporanei e piuttosto giovani. Quelli di Tunué non hanno paura di osare, di proporre romanzi innovativi e sperimentali che difficilmente senza di loro avrebbero visto la luce.

Le loro ultime pubblicazioni sono Dimentica di respirare di Kareen De Martin Pinter e L’amore a vent’anni di Giorgio Biferali (due libri di cui parlo in modo più approfondito nella terza parte). Nel catalogo presenti anche autori come Luciano Funetta (il suo Dalle rovine era candidato al Premio Strega), Francesco D’Isa, Luca Bernardi, Giordano Tedoldi. La narrativa italiana di Tunué sta ricevendo non a caso notevoli successivi di critica e pubblico. Se non li avete ancora scoperti, fatelo.

tunué

  • ERIS EDIZIONI

Va detto: io ho una specie di adorazione viscerale per i tipi di Eris Edizioni. Sono sinceramente convinta che pubblichino i più bei volumi a fumetti presenti attualmente in Italia – o, almeno, i miei preferiti. Hanno in catalogo i lavori di Jesse Jacobs, uno dei fumettisti più interessanti e folli del momento, di Nicolas De Crécy, autore inclassificabile, complesso e originalissimo, di Michael DeForge, di Joyce Farmer, di Hans Rickheit. E poi non si può non volere bene a una casa editrice che all’ingresso del Salone si fa sequestrare un barattolo di maionese dalla sicurezza.

Ma passiamo alle cose serie. Eris ha dato vita da un po’ a una fantastica collana di narrativa (Collana Atropo). I volumi sono illustrati, e forse il più noto della collana è al momento Challenger di Guillem López. Il più recente è Lucenti di Uduvicio Atanagi, scritto sotto pseudonimo, illustrato da AkaB, che ha visto la luce grazie alla recente collaborazione con Progetto Stigma. Non fateveli sfuggire.

eris

  • RACCONTI EDIZIONI

Nati nel 2016 Racconti Edizioni, come dice il nome, pubblica esclusivamente raccolte di racconti. Tutto è nato per provare al rispondere al pregiudizio tutto italiano sul racconto, e cioè: il racconto non vende. Il racconto appare spesso come il viatico più immediato per la sperimentazione e per l’ascolto del nuovo, il dispositivo più adatto per il gioco della lingua e delle lingue, dei loro miscugli impensati, di quelle ibridazioni che così tanto parlano dell’oggi. Un palcoscenico ideale, se ci si riflette, per quegli autori alla ricerca del proprio sé letterario e di un primo compimento per il loro magma creativo, dicono, e io non saprei spiegarlo meglio di così. I loro sono racconti che spaziano dal classico al contemporaneo, da Virginia Woolf, James Baldwin e John Cheever a Mia Alvar, Elvis Malaj e Margaret Atwood. Il mondo di Racconti edizioni non ha limiti geografici né temporali. Si tratta semplicemente di racconti d’ogni sorta, eppure scelti sempre con competenza e precisione e in grado quindi di creare una precisa linea editoriale. Ce n’è per tutti i gusti, quindi andare a curiosare nel loro fantastico catalogo.

racconti

Continua.

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