Salone del Libro 2018: (Cosmi)Cronache di giovedì 10 maggio

salone

Premessa: Scrivere questo articolo è stato difficile. Soprattutto per la lunga e personale riflessione sul come avrei dovuto scriverlo. Mi spiego meglio. Sono fermamente convinta, e i fatti lo confermato, che il Salone Internazionale del Libro di Torino sia diverso per ogni persona. Sono così tanti gli eventi, gli incontri, gli autori, gli editori, le persone, le parole, che ognuno inevitabilmente crea il proprio originalissimo percorso tentando di districarsi tra centinaia di pagine di programma. Questo è senza dubbio uno dei punti di forza del Salone, giunto quest’anno alla trentunesima edizione dal titolo Un giorno, tutto questo: è in grado di attirare lettori forti e semplici curiosi, e di dare spazio a realtà editoriali affermate o meno note. Personalmente, lo ritengo un momento di scoperta ed esplorazione, un momento d’incontri e casualità.

Per dare un’idea, quest’anno c’erano ospiti come Eduard Limonov (quello vero), il premio Nobel Herta Müller, Javier Cercas, Alice Sebold (quella di Amabili resti, sì), Guillermo Arriaga, Jessa Crispin, Giuseppe Tornatore, Bernardo Bertolucci, Luca Guadagnino, Fernando Aramburu, Javier Marías, Antoine Volodine (presenti lui e il suo post-esotismo) e tanti, troppi altri.

Premessa 2: Per il motivo appena citato questo articolo non poteva che essere scritto in prima persona, in una forma estremamente individuale – cosa che nelle recensioni tento invece d’evitare il più possibile, cercando di dare uno sguardo oggettivo (pur se l’oggettività non esiste) e preciso (e, anche qui, mi rendo conto di presentare spesso invece numerosi slanci emotivi). Per la stessa ragione, non tutti i punti avranno la stessa lunghezza: dove avrò di più da dire, dirò di più. Il numero di caratteri, mi scuso in anticipo, supererà probabilmente il limite umano di sopportazione (specialmente online).

Premessa 3: Ho deciso di dividere le esperienze in giorni. Tre, per la precisione, cioè quelli in cui sono riuscita a partecipare: da giovedì 10 a sabato 12 maggio. Si tratta quindi di un articolo diviso in tre pezzi pubblicati singolarmente sul blog. Vi racconterò ciò che io ho vissuto, e questa non potrà che essere una disamina parziale e incompleta – che spero possa essere comunque valida e fornire una visione generale del Salone. È il mio diario di bordo, ma questo non significa che gli altri viaggi siano poi così distanti.

Iniziamo.

PRIMO GIORNO  – GIOVEDÌ 10 MAGGIO

Giovedì ci sono già in fila centinaia di persone. Non male. Ero stata al Salone soltanto l’anno scorso, di sabato, e mi ero autoconvinta che di giovedì non avrei vissuto la ressa indicibile che c’era il fine settimana. Non era una ressa, ma era un bel po’ di gente. Difficile spiegare a chi non è mai potuto essere presente la meraviglia del Lingotto Fiere colmo fino alla saturazione di stand di editori d’ogni tipo. Libri a perdita d’occhio, libri nuovi, antichi, introvabili, stravaganti, brevissimi e omerici. Tiro fuori il mio programma – scritto su un foglio di carta, quando metà degli anziani presenti guardava il programma sul sito ufficiale del Salone (il che, forse, dovrebbe farmi riflettere su miei metodi vintage; senza contare il fatto che quel foglietto è andato perduto più e più volte per poi essere ritrovato con sollievo).

  • Appena entrata, decido di inaugurare il Salone con uno dei miei grandi amori letterari: Wisława Szymborska, poetessa che da anni venero e rileggo. A parlare di lei e a leggere le sue poesie è Ernesto Ferrero, scrittore, critico ed ex direttore del Salone. Dopo aver ringraziato per tutti gli anni trascorsi a capo dell’evento e per le persone che da decenni partecipano, comincia ad analizzare l’opera della Szymborska. È una delle poche poetesse, dice, che riesce a parlare d’altro e quasi mai di sé. Nella semplicità ecco che allora si riassume l’intera prosopopea umana. Parla della sua attenzione all’infimo e al minimo, del suo punto di vista in continua mutazione, dell’importanza del caso. Un caso che induce inevitabilmente allo stupore. Lo stupore di essere proprio qui adesso e in questo luogo. Lo stupore di un buco in una rete, di un segreto nascosto. Coincidenze e combinazioni: il libro degli eventi è sempre aperto a metà. La Szymborska si fa cantrice dell’insostenibilità di un amore felice, del luogo comune e del non-visibile, analizzando senza tregua e scoprendo un nuovo modo di guardare, quello che l’ha portata al Nobel per la Letteratura. Ferrero passa per Elogio dei sogni, Scrivere il curriculum, Il gatto in un appartamento vuoto, Amore a prima vista, Qualche parola sull’anima, tante altre celebri poesie. Io mi rendo conto di conoscere più o meno tutte le parole a memoria e di star scandendo tra le labbra ciò che lui legge. Di nuovo, questo dovrebbe farmi riflettere.

ernesto ferrero

  • Mi reco poi all’incontro con Giuseppe Tornatore. M’interessa molto l’argomento: un film che non è mai riuscito a girare e che ha tentato per vent’anni di realizzare. Sellerio ha adesso pubblicato la sceneggiatura che non vedrà mai la luce al cinema, dal titolo Leningrado. Era stato in verità un produttore a proporgli il film, un progetto voluto e poi fallito di Sergio Leone. Non c’era nulla se non l’argomento, l’assedio di Leningrado durante la Seconda Guerra Mondiale. Ciò che di solito importa sono piuttosto le vicende di Stalingrado, fondamentale nello sviluppo della guerra. Leningrado è un fatto di contorno, eppure una storia eccezionale e mai abbastanza esplorata. A colpire Tornatore è la forza dei cittadini. Sanno di andare incontro alla morte, eppure continuano a illudersi che sia possibile la vita: organizzano ancora spettacoli teatrali, girano film, fanno convegni, scrivono libri, tengono diari pur se proibito dal regime. In mancanza di cibo, si nutrono di bellezza. Quella di Leningrado è una storia che mi ha ricordato quella narrata dal poeta bosniaco Izet Sarajlić: durante la guerra dei Balcani, un circolo di poeti si riuniva nelle cantine e nei sotterranei a cantare poemi e diffondere parole. Resistere con la cultura alla barbarie e alla brutalità. Leningrado è una città destinata alla morte che non muore. Ha un’imponenza epica. Tornatore si dice dispiaciuto per il fallimento del progetto, ufficialmente chiuso con la pubblicazione della sceneggiatura, ma ancora interessato al concetto dell’assedio. In fondo oggi ci si sente sempre assediati, in attesa di un nemico, una paura persistente di un qualcosa che arriverà e ci porterà alla distruzione. E aspettiamo, direi, come il tenente Drogo aspettava i Tartari.

tornatore

  • D’accordo, vi dico la verità: io giovedì 10 maggio lo ricorderò soprattutto come il giorno in cui l’autore cileno Francisco Ovando mi ha offerto una Pastiglia Leone. Pare che le ami e che da lui costino tantissimo, motivo per cui ha riempito un’intera busta di scatolette da riportare a casa – sperando che non lo fermino all’aeroporto. Francisco Ovando è uno che a prima vista spiazza: giovanissimo, altissimo, capelli corti e tinti di biondo, tatuato e con diversi piercing sulla faccia. Ma è uno che spiazza anche dopo, quando finalmente parla e spiega. Di certo l’incontro con lui è stato il più interessante e (sarà banale ma è così) bello di giovedì. Ovando è pubblicato da una casa editrice che seguo da diverso tempo e ammiro molto, Edicola Ediciones. Pubblicano tra Italia e Cile, cercando di avvicinare le rispettive letterature in una forma che sempre più appare precisa e degna di nota. Si deve a loro anche la pubblicazione, tra gli altri, di Nona Fernández, straordinaria autrice che sempre più viene giustamente notata da critica e pubblico. Per l’incontro con Ovando mi sposto alla Libreria Trebisonda (tra parentesi, probabilmente una delle migliori librerie di Torino, con una selezione di titoli a dir poco eccezionale e una divisione geografica degli autori sugli scaffali). L’evento fa infatti parte del programma del Salone Off, serie di iniziative legate al Salone che si svolgono però in giro per la città (a volte anche su mongolfiere o sottomarini). Il titolo del libro sperimentale e atipico di Ovando, che tra le altre cose ha vinto il premio Roberto Bolaño, è Tutta la luce del campo aperto (ma il titolo originale era un cortázariano Casa Volada, che volutamente riprende il celebre e splendido racconto Casa tomada contenuto in Bestiario). Il nostro cileno è talmente folle da aver portato questo romanzo come tesi di laurea. Sono un ribelle, dice, volevo una tesi che fosse anti-accademica. Doveva scrivere una ricerca, ha scritto un romanzo su una ricerca. A me è bastato questo per volergli bene. A dialogare con lui ci sono Andrea Sirna (stimatissimo gestore del blog Un Antidoto Contro La Solitudine e del canale YouTube Andrea Pennywise) e la traduttrice del libro, Giorgia Esposito, che nel rendere in italiano la lingua di Ovando si è trovata davanti a un compito decisamente complesso. Ovando si concentra molto sul ruolo del lettore. Non esiste niente come la “lettura passiva”: la lettura vera è per forza di cose attiva, un’interpretazione in continua discussione. Un libro non è fisso né stabile. È importante la messa in discussione, come nella realtà. Anche nel mondo di tutti i giorni non facciamo che vedere versioni di una verità. La realtà stessa è continua interpretazione – specialmente nel mondo contemporaneo, dove tutto sembra finzione. La traduzione, poi, dà vita a un nuovo libro. È per forza di cose diverso dall’originale, motivo per cui Ovando è stato felice di modificare anche il titolo dell’edizione italiana e di poter cambiare alcuni passi per adattarli meglio al pubblico italiano: dove la traduzione fa perdere certi aspetti, c’è bisogno di nuovi riferimenti ipertestuali. Bisogna aprire “canali di connessione” con la lingua d’arrivo. Ancora oggi essere artisti, in Cile e nel mondo, è soprattutto un gesto coraggioso. Forse ancora di più che in passato. Cambiano i tempi, i modelli, ma resta la lotta.

(grazie ad Andrea Sirna qui è possibile ascoltare il podcast dell’evento)

ovando

DA TENERE D’OCCHIO

Per via di ciò che scrivevo all’inizio, e cioè che per me il Salone è soprattutto esplorazione e scoperta, alla fine di ogni giorno ho deciso di segnalare realtà editoriali medio/piccole (soprattutto piccole, direi) che secondo me meritano più visibilità. Case editrici che conoscevo già – ma che grazie al Salone ho potuto approfondire parlando con chi le porta avanti ogni giorno con competenza e passione – oppure belle sorprese in cui mi sono imbattuta per caso e che mi hanno colpita.

Signore e signori,

  • ZONA 42

Ho avuto modo di fare due chiacchiere con Giorgio Raffaeli, uno dei fondatori di Zona 42, casa editrice relativamente recente specializzata in fantascienza contemporanea. Il loro motto è Editori di fantascienza e altre meraviglie, e in effetti di questo si tratta. Il coraggioso obiettivo che si propongono è quello di riportare la fantascienza nelle librerie italiane o, meglio, di avvicinare al genere chi è convinto che non faccia per lui. La verità è che la fantascienza vende tanto, ma soltanto quando non è definita tale: vendono il new weird, il cyberpunk, il realismo aumentato, la distopia. Cioè la fantascienza sotto altro nome. Eppure c’è bisogno di questo genere ora più che mai: un genere che sa guardare al futuro e far riflettere sulle svolte pragmatiche ed etiche che quel futuro può comprendere.

Il loro catalogo presenta autori come Ian McDonald (la prima pubblicazione di Zona 42: Giorgio mi dice “Mi ero ripromesso che sei mai avessi fondato una casa editrice avrei portato in Italia per primo questo titolo, Desolation Road di McDonald”), Nnedi Okorafor (straordinaria autrice di origini nigeriane che si sta facendo notare grazie al suo Laguna), e persino autori di fantascienza italiani come Alessandro Vietti o Stefano Paparozzi. Seguo Zona 42 ormai da diverso tempo, e ho avuto modo di affezionarmi alle loro sempre ottime proposte. Vale davvero la pena di approfondire la loro immaginazione sfrenata.

zona42

  • EDICOLA EDICIONES

Vi ho parlato più su dell’incontro straordinario con Francisco Ovando. È solo uno dei validi autori che Edicola Ediciones ha pubblicato e continua a pubblicare. Edicola è stata fondata da Paolo Primavera e Alice Rifelli, a cui si sono poi aggiunti diversi collaboratori. Si definiscono “una casa editrice garibaldina, che come l’eroe dei due mondi vive e pubblica tra Italia e Cile”. È proprio questa la particolarità di Edicola: le due sedi sono a Santiago del Cile e a Ortona, in Abruzzo , nell’edicola (letteralmente) di famiglia portata avanti da generazioni che si è fatta casa editrice. Una realtà meravigliosa e appassionata, che porta la cultura italiana in Cile e quella cilena in Italia. Tra i loro autori (tra l’altro, si nota una fortissima presenza di autrici donne) Nona Fernández, una delle voci più originali e valide della letteratura cilena contemporanea, Andrés Montero, María José Ferrada, Alejandra Costamagna, ma anche autori italiani come Solidea Ruggiero (una delle prime in catalogo) e Gianluca Di Renzo, vincitore del premio letterario John Fante. Quella di Edicola Ediciones è una famiglia allargata, una realtà aperta a tutti fatta di rispetto e amicizia, ma anche di serietà e competenza.

¡Descúbrelos!

edicola

  • EDIZIONI BLACK COFFEE / EDIZIONI CLICHY

Passiamo alla letteratura nordamericana grazie a Black Coffee, progetto editoriale nato grazie a Sara Reggiani e Leonardo Taiuti, a cui si è poi unita una squadra di diversi professionisti. Il loro obiettivo è quello di scoprire nuovi autori e di recuperare opere del passato ingiustamente dimenticate.

Relativamente recente, presenta autori come la grandiosa Joy Williams (i suoi racconti contenuti in L’ospite d’onore stanno conquistando non pochi lettori) o il geniale Ben Marcus, ammirato tra gi altri da George Saunders e Jonathan Lethem.

Black coffee prende vita da Edizioni Clichy, una delle mie case editrici preferite – scoperta diversi anni fa, mi ha spalancato davanti il mondo delle realtà indipendenti. Mi erano capitati tra le mani nel 2013 (erano nati da appena un anno) grazie a un piccolo saggio di Jean Philippe Toussaint, meraviglioso e fondamentale autore francese, dal titolo L’urgenza e la pazienza. Da allora li ho seguiti quasi devotamente, e grazie a loro ho potuto leggere libri come L’amante di Wittgenstein di David Markson, uno dei libri più amati da David Foster Wallace. La loro specialità è però la narrativa francese, senza dimenticare saggistica e arte.

Due straordinarie case editrici che sarebbe un peccato perdersi.

black

clichy

Continua.

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