Ricercare il teatro nel cuore di Napoli

Settembre, solitamente, porta con sé una fresca ventata di novità nel mondo del teatro. O, perlomeno, così dovrebbe essere.
Pian piano gli ultimi cartelloni vengono svelati, i teatri si tolgono di dosso la polvere lasciata dalle chiusure estive o dai festival di passaggio e presentano al pubblico nuovi maestri per vecchie scuole che hanno già dato vita a tante cose buone. Tutto molto bello, se si hanno i soldi per pagare tutto ciò.
Comincia un’altra stagione all’insegna del disinteresse e della noncuranza da parte di molti dei teatri di “punta” verso gli spettatori indigenti e verso chi non può economicamente permettersi una formazione artistica professionale.  Nessun bando per agevolare gli spettatori con reddito basso, nessun comunicato o dichiarazione che cominci a far notare che, oltre ai già presenti professionisti del settore alla fame, ce ne sono tanti giovani e volenterosi che non possono formarsi per assenza di strutture o opzioni a costo contenuto o assente.
Nessuno si aspetta che teatri privati o singoli elementi, per quanto di spicco, concedano puntalmente il loro tempo, il proprio spazio e la loro esperienza a titolo gratuito, quel che dovrebbe premere, chi è interessato a questa realtà, è l’arrivo del (tanto atteso) intervento da parte di chi dovrebbe curare e gestire la cultura. Napoli, soprattutto artisticamente, non muore, vive molto più di altre metropoli, ma assiste impassibile a certi mutamenti in molti casi. Se lo Stabile di Torino dà mille abbonamenti a persone col reddito basso, qui si sta a guardare, ci si lamenta della poca attenzione del pubblico e si da fin troppa poca attenzione a quegli interventi sul posto che cercano di avvicinare tale realtà.
Come quello proposto proprio a settembre dalla Sala Assoli, quando la tempesta che si attendeva ancora non c’è stata, ma un bel vento si è ugualmente sollevato.

Dal 10 al 14 settembre, si è tenuto un Laboratorio Teatrale gratuito in quel della Sala Assoli, organizzato e gestito da Tommaso Tuzzoli e Sabrina Jorio.  Ho avuto modo di assistere, come uditore, al lavoro di Tuzzoli e Jorio sull’attore, sul come rapportarsi ad esso e su una concezione di “lavoro teatrale” astratto dalla sua natura puramente artistica, ma quanto più pragmatica. Abbiamo parlato assieme della necessità di una realtà come quella presente in quei giorni, di una possibilità di lavoro e di formazione anche per chi ama questo lavoro, ma non può permetterselo. Attori già formati hanno avuto così modo di lavorare su stessi, di sfidare i propri limiti e le proprie conoscenza seguiti da professionisti del settore senza sborsare un soldo.

Eventi come questo debbono essere di stimolo, devono ricordare l’immediata necessità di creare situazioni di aggregazione per i giovani non abbienti interessati a portare avanti questa viva fiamma che è la cultura teatrale. La cosa più grave, di questa assenza, è il pensiero che esso genera, ovvero il far apparire l’arte ancora come fonte di svago, fattore “secondario”, limitandomi le possibilità di chi, invece, ne vorrebbe fare la sua funzione “primaria”.

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