Play Strindberg: vita coniugale, affondi e quotidianità

Play Strindberg

È arrabbiata con me perché non sono morto ieri!
No, perché non sei morto venticinque anni fa, perché non sei morto prima che io nascessi!
Sentila! Ecco cosa avviene quando tu ti metti a combinare matrimoni, mio caro Kurt! Che questo non sia stato combinato dal cielo è sicuro!

Novanta minuti circa: il tempo per raccontare una vita diventata, dopo venticinque anni, una guerra dei sessi, un match in cui gli affondi sono costanti, continui, cattivi, avvilenti. Novanta minuti è la durata di Play Strindberg in scena al Teatro Bellini di Napoli dal 5 al 10 dicembre 2017, per la regia di Franco Però con  Maria Paiato, Franco Castellano e Maurizio Donadoni.

Il testo portato in scena nel teatro napoletano è una rielaborazione di Danza Macabra del drammaturgo svedese August Strindberg, uno dei suoi testi più feroci e crudeli, ad opera dello scrittore Friedrich Dürrenmatt che nell’assistere alla sua messa in scena presso il Teatro di Basilea nel 1969, insoddisfatto delle traduzioni e degli adattamenti esistenti, decise di occuparsene personalmente. Da qui la nascita di Play Strindberg. Dürrenmatt per la trattazione in chiave grottesca della società mediante lo smascheramento della facciata perbenistica dietro cui la società svizzera, ma in realtà propria di qualunque contesto sociale, era solita celarsi, ha dato voce ad un rinnovamento del teatro in lingua tedesca. Nell’analisi dei microcosmi, specchi di una contingenza di ampia portata, porta in scena il reale e sopito presente nelle relazioni umane: nudi e crudi al centro della scena sono finalmente liberi ed in questa libertà divengono oggetto di una riflessione reale da parte degli osservatori.

L’approccio alla pièce è immediato: entrando in sala  lo spettatore è accolto dal palcoscenico libero dal sipario. Un ring quadrato occupa l’intera scena e ospita nel mezzo un interno domestico: in un angolo un divanetto ed una poltrona, alle loro spalle un appendiabiti dall’anima di metallo; nell’angolo opposto un pianoforte, croce e delizia di quanto nel giro di poco si vedrà.  Alle spalle due strutture con dei fari, pronti ad illuminare l’azione scenica.

Lo spettacolo è suddiviso in 11 round introdotti dal suono del gong. L’espediente agonistico è doppiamente funzionale: se da un lato indica la linea drammaturgica che guida lo spettacolo, dall’altro una volta messi all’angolo i protagonisti utilizzano la preziosa pausa tra un round e l’altro per riprendersi ed allentare la tensione.

Al centro della vicenda il matrimonio tra Alice ed Edgar: alla soglia delle nozze d’argento i due preda delle aspirazioni mancate (lei non è riuscita a diventare un’attrice di successo, lui un generale) si infliggono reciprocamente in un’escalation di crudeltà e sdegno, ma forse anche di amore, colpi mortali. La parola diventa strumento di questo gioco al massacro che attraverso ritmi serratissimi e mai banali riesce a tenere alta l’attenzione, suscitare risate amare e sfinire gli attori in scena. Tra i due Kurt, vecchio amante di Alice, fautore della loro uNiobe. Questo matrimonio non è la tomba dell’amore ma piuttosto il pantano, per stessa ammissione dei protagonisti. L’utilizzo del termine rende perfettamente l’idea della relazione: non è morta tra le pieghe delle rispettive vite ma è infangata ed incastrata nell’altro in un odi et amo che travolge tutto quello che incontra.

Il naufragio della vita coniugale di Alice ed Edgar, in cui è parte attiva anche Kurt, segue un impianto sostanzialmente paritario: per quanti colpi possano infliggersi, per quante cattiverie possano scaricare l’uno sull’altro, nessuno va mai veramente al tappeto. I tre restano spesso come sospesi nelle loro posizioni, difese sempre a spada tratta e nessuno riesce mai a prevalere  sull’altro. Un equilibrio che riesce bene a tenersi grazie alla partitura drammaturgica e alla forza della prova attoriale:  Maria Paiato (Alice), Franco Castellano (Edgar) e Maurizio Donadoni (Kurt) sono un trio perfetto. La loro forza è essere all’interno di questo complicità malata, durissima e spietata che, sprofondando verso l’abisso, non crea vincitori ma solo vinti. La forza del testo di Dürrenmatt sta nel passaggio continuo e lineare dalla tragedia alla commedia, e viceversa, in una mescolanza che non è mai fuori luogo ma convive armonica per l’intera durata dello spettacolo.

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