Orestea, dove la tragedia ha inizio

ORESTEA de fusco

Debutta al Teatro Mercadante di Napoli l’Orestea di Eschilo, con la regia di Luca De Fusco.
Unica trilogia greca ad essere pervenuta per intero, Orestea è la tragedia greca per eccellenza, che valse al suo autore la vittoria delle Grandi Dionisie, nel 458 a. C.; a questo anno data anche la sua prima assoluta, presso il Teatro di Dioniso di Atene.

Attraverso tre episodi (Agamennone, Coefore ed Eumenidi), l’Orestea racconta dell’assassinio del re degli Atrei, Agamennone, per mano di sua moglie Clitemnestra, della vendetta da parte del figlio, Oreste, che si macchia di matricidio, infine, del processo di quest’ultimo ad opera del tribunale dell’Areopago.
Si tratta di una maratona teatrale fatta di tappe e di soste, nella quale il testimone viene passato di mano in mano, scena dopo scena, attraverso i temi della vendetta e della giustizia che fanno da leit motiv guidando lo svolgimento di tutta la trama.
Al succedersi degli eventi nefasti, a suon di esecuzioni e di vendette, lo spettatore ripercorre sulla scena una traiettoria durata anni e che affonda le sue radici nella mitologia greca. A poco a poco è tutta la famiglia di Agamennone ad essere sterminata e la chiusura della partita avviene soltanto quando l’ultima vendetta è compiuta, quella di Oreste.
Con Oreste il ciclo si interrompe ed avviene un cambio di rotta: il dolore e la sofferenza che animano l’ultimo carnefice di questa serie fanno luce sulla facoltà dell’uomo di emanciparsi e di elevarsi rispetto ai suoi istinti più brutali e animaleschi e sulle sue pulsazioni violente, e focalizzano l’attenzione sulla possibilità di pentirsi e di chiedere perdono, di riparare alla colpa espiando una pena.
Con l’assoluzione di Oreste e la trasformazione delle Erinni in Eumenidi la tragedia giunge a conclusione. Grazie al dialogo, al confronto ed al loro intrinseco potere di persuasione, anche le creature più reiette trovano, così, un loro posto alla luce del sole.

Il messaggio veicolato dalla tragedia è di grande impatto e suggerisce con forza che l’odio e la morte, reiterati nel tempo, non portano a nient’altro che a nuova morte, poiché nella spirale della violenza solo il dialogo e l’ascolto qualcosa possono, essendo i tramiti della persuasione e del cambiamento. L’unico sollievo può derivare dallo scorrere del tempo, ma il dolore, la sofferenza sono inevitabili ed imprescindibili, necessari al fine del raggiungimento della conoscenza.
Il tempo della rappresentazione non coincide, perciò, con il tempo dello svolgimento delle vicende ma veicola bene il concetto di tempo interiore; riesce anche a penetrare in quello interiore di ciascuno degli spettatori.

L’Orestea si mostra in tutta la sua profondità e la sua forza, l’attualità dei suoi temi sono evidenti e si respirano durante tutta la messa in scena. È, questa, un’opera universale, capace di attraversare le linee del tempo, antica ma dotata di una modernità e di una contemporaneità unica, quelle proprie dei capolavori classici.Ambientata ad Argo, al tempo della vittoria greca su Troia, Orestea è a ben vedere il dramma dei nostri giorni. Omicidi all’interno dello stesso nucleo familiare, odio, invidia, bramosia, tradimenti, ipocrisia, falsità si susseguono sulla scena e prendono il volto sia dei protagonisti che dei personaggi secondari ma a loro vicini. Sovrani, figli, coniugi, amanti, figure nell’ombra o sotto i riflettori del potere, tutte ruotano intorno ad una reggia, che è un covo di perfidia, di delitti e di lutti senza fine.

Tanti sono i personaggi, per un’opera che si configura come totale. Compaiono in forma individuale, impegnati in monologhi ed in soliloqui, o in gruppo. Scene dialogate si alternano a quelle cantate, soprattutto in invocazione agli dei. Il coro è molto presente, ed è più spesso un coro di donne. Le parti cantate, soprattutto nella formula corale conferiscono solennità al messaggio veicolato ed una carica drammatica fuori dal comune.
La drammaticità e la profondità dei temi trattati vengono sottolineate anche attraverso l’uso dei colori: il bianco il nero ed il rosso. Un gioco di contrasti, attraverso l’uso delle luci, permea la scena e presenta il doppio volto ed il carattere innovativo di questa Orestea, così antica e così moderna. Bui e luci focalizzate si scontrano con tappeti luminosi ed abbaglianti e con luci diffuse. Il rosso, il sangue, invade la scena, cui fa da contraltare l’acqua, la purificazione dal delitto. Scene visionarie e attimi senza tempo incorniciano nenie e invocazioni, veicolano profezie intonate in un linguaggio sconnesso, quello sofferto e confuso della comunicazione alogica e del paranormale.
La classicità di quest’opera viene mantenuta da Luca De Fusco, poiché parti cantate si alternano a quelle parlate e a quelle danzate, ma viene in parte abbandonata nella messa in scena quando viene utilizzato il teatro/video. Si tratta, perciò, di un classico contemporaneo, nella misura in cui l’innovazione arriva a permeare la scena con la danza contemporanea della compagnia Körper, quando il teatro/video domina la sfera visiva e quando nell’impostazione dei dialoghi, soprattutto in quelli di Atena, ci si serve dei format tipici dei giorni nostri (la messa ai voti attraverso la ripresa in tempo reale del teatro e la presentazione dell’esito attraverso un tabellone visivo).

Molto suggestiva, in definitiva, la lettura del regista, che nella sua versione ha teso un ponte tra oriente e occidente e tra antico e contemporaneo, soprattutto attraverso musiche d’impatto dal potere evocativo e unico, che parlano nel profondo. L’esperimento del De Fusco, perciò, accoglie, custodisce e ripropone l’intensità della tragedia greca. Grande la partecipazione del pubblico, giovane e meno giovane, anche da parte di coloro i quali non sono avvezzi al teatro classico. L’Orestea si conferma un capolavoro di tutti i tempi che dice molto, che dice a tanti e che continuerà a dire molto e a far parlare di sè.

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