MEPHISTOPHELES – eine Grand Tour di Anagoor

Foto di Salvatore Pastore

Il collettivo teatrale Anagoor debutta al Napoli Teatro Festival Italia 2020, diretto da Ruggiero Cappuccio, con Mephistopheles, un live set per festeggiare i venti anni di attività.

Un debutto a teatro, anche per chi scrive, dopo il lungo periodo del lockdown che non poteva non iniziare con una festa, nel Cortile di Palazzo Reale, dominata dai beat e dal sound design di Mauro Martinuz, che ha curato tutti i pezzi degli spettacoli degli Anagoor. Una partitura musicale che amplifica ed esalta la potenza estetica delle immagini, proiettate su un telo bianco, che mostrano un Grand Tour faustiano nelle viscere dell’inferno terrestre.

Lavoro, per molti aspetti, concettuale e coerente, che unisce sequenze di immagini prese da altri spettacoli della compagnia – Lingua Imperii, Virgilio Brucia, Socrate il sopravvissuto, Orestea, Faust – in bilico tra Oriente e Occidente, tra India, Italia e Grecia, con la parte iniziale, profetica, girata all’interno di Rsa pre Covid-19.

In Mephistopheles ci sono corpi sofferenti, vecchi, ormai dimentichi del resto del mondo, foto di figli e nipoti appese alle pareti e letti rifatti per accogliere nuovi ospiti. La prima tappa di questo tour è devastante e rappresenta, per certi versi, il capolino dell’umanità, soprattutto se letto alla luce dei fatti lombardi. Dalla seconda, si ricomincia da zero, Simone Derai ci trasporta in un museo, dominato da statue classiche, ma anche dentro i riti delle diverse religioni del mondo. Esploriamo, così, l’alto, i punti di contatto tra l’Uomo e il Divino e il basso, gli allevamenti intensivi, lo sfruttamento di territori per inseguire sogni di profitto, i macelli. L’uomo che controlla la Natura, anche i processi riproduttivi, in nome del dio denaro, una problematicità espressa da un’esperienza estetica forte, dominata da un soundscape semantico privo di temporalità fatto di rimandi alla musica classica, ai rumori industriali e ai suoni della natura.

Ne viene fuori un’opera aperta, che si ripete e riscrive di capitolo in capitolo, dall’intertestualità imprevista, che si libera dall’oggetto artistico per farsi significante ma, al contempo, si vincola alla potenza delle immagini e del suono. Lo spettatore osserva, intraprende questo viaggio senza avere troppe informazioni iniziali ma, ben presto, si ritrova ad essere parte di un sistema corrotto, distruttivo e totalitario, che ci inchioda al gioco mortifero del capitale.

Niente di nuovo, tutto già visto, una fabula nera, dallo schema favolistico uomini-animali-dei, senza una vera e propria morale. L’uomo potrebbe costruire una società equa e giusta se riuscisse a tornare ad essere un elemento della Natura, rispettandola e consacrandola. Eppure, per ripartire veramente, forse non avevamo bisogno di questo ennesimo – già visto e metabolizzato – shock.

 

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