Masculu e Fiammina: il desiderio di un mondo gentile di Saverio La Ruina

Masculu e Fiammina

Pianissimo, devo dirlo pianissimo questo piccolo ciao, mi dispiace doverti dire solo ciao mentre in mezzo alla gente vorrei gridare fortissimo, che ti amo, fortissimo, che ti amo di più. Questo testo di Mina datato 1990 accompagna la fine di Masculu e Fiammina, spettacolo di e con Saverio La Ruina,  in scena al Teatro Nuovo di Napoli dall’8 al 12 novembre 2017 mentre, in un dimensione tra sogno e realtà il protagonista si augura, ed augura, un mondo migliore, senza gabbie, senza preconcetti.

Masculu e Fiammina è uno spettacolo intimo. È il racconto, con un filo di voce, della confessione che il protagonista, Peppì, fa sulla tomba di sua madre. Le racconta la sua vita, non quella che conosce, ma l’altra di cui non le ha mai detto esplicitamente nulla, perché forse non avrebbe capito, ma che sapeva avesse ben inteso. E lo sapeva perché la sera, quando usciva, lo accompagnava sempre sull’uscio della porta con la solita raccomandazione Statti attiantù. Per questo Peppì prima di rompere gli indugi, prima di trovare la giusta chiave di accesso al racconto della sua omosessualità, prende tempo chiedendo com’è andato il viaggio, com’è il cielo da lassù, se è veramente azzurro come lo vediamo da qui e com’è San Pietro. Un tempo rubato per darsi forza.

Questo aspetto così intimo e delicato trova una compensazione nella scelta di portare il scena unicamente il dialetto calabrese: un dialetto a volte aspro, a volte duro ma che diventa familiare ed arriva al pubblico perché carico dell’emozione che La Ruina porta con sé. Attraverso le sue labbra quelle stesse parole dure diventano poesia e dolcezza. Diventano miti e caste, orgogliose e sprezzanti d’amore.

Ma la parola è anche lo strumento atto a creare una fotografia della storia e del tempo. Siamo negli anni Settanta in una piccola provincia del sud. L’omosessualità è una condizione da nascondere, talvolta è una fase transitoria che alla stregua di una malattia deve essere curata. Peppì riesce nel tempo a nascondersi celando alla famiglia i propri sentimenti ma sono tante le volte in cui il desiderio di poter vivere alla luce del sole gli attraversa la mente. Comincia il suo racconto attraverso le tappe fondamentali della sua vita: dai tempi della scuola, gli anni in cui scopre il precoce interesse per il mondo maschile, passando per l’adolescenza ed i primi uomini che cominciano a far capolino nella sua vita. Amici, più o meno vicini, che fanno parte del suo stesso mondo coperto agli occhi di tutti. Enzo, Vittorio, Saro e Marietto se da un lato rappresentano la presa di coscienza rispetto alla propria sessualità dall’altra sono lo specchio in cui la società si riflette: purché non avvenga alla luce del mondo, perché due uomini che stanno assieme sono ricchiuni.

È in questo contesto che si inserisce un elemento importante della drammaturgia di La Ruina: il potere della parola che da elemento d’amore diviene elemento di distruzione. Più volte nel corso della confessione Peppì dice alla madre che i suoi ricordi sono belli a metà perché cominciano bene e finiscono male e che a fargli davvero paura non sono le persone ma la parola al cui cospetto l’uomo non è nulla. La parola uccide ed è proprio una parola ad aver ucciso lui, ricchione. La distruzione avviene quando la parola si culla nella melma dell’odio e del risentimento, nella costrizione del giudizio fino ad armare la mano dell’uomo. È per una di queste mani che trova la morte l’amore della vita di Peppì, Alfredo.

Ormai adulto Peppì nonostante le esperienze dolce ed amare della vita continua a sperare in un modo migliore e lo fa sulla tomba della madre affinché il cerchio aperto della sua vita possa finalmente chiudersi inserendo un tassello mancante che forse avrebbe voluto inserire molto prima.

Lo spazio scenico è pressoché vuoto: al centro della scena la lapide ed una foto della mamma di Peppì; di lato uno sgabello. Attorno piccoli fiocchi di neve, trasfigurazione di quel sud immaginato dal protagonista: un mondo più gentile, diverso, in cui anche il profondo sud potrà essere coperto di neve.

Saverio La Ruina non è nuovo alla trattazione di temi tratti dalla cronaca, quelli che, seppur sotto gli occhi di tutti, sono sempre fin troppo distanti dalle singole individualità. Il tratto che contraddistingue la poetica dell’attore, regista e drammaturgo italiano è l’estrema sensibilità nella trattazione del reale: la delicatezza della voce e della parola consentono al pubblico una profonda partecipazione emotiva perché portati per mano dalla voce di La Ruina che tutto avvolge, che impone ascolto e che in maniera molto naturale viene ascoltata.

 

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