Luci della città|Stefano Cucchi

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Pino Carbone, giovane regista napoletano, ha portato in scena alla Sala Assoli di Napoli, in occasione del trentennale, Luci della città|Stefano Cucchi, spettacolo scritto con Francesca De Nicolais, anche interprete in scena, che narra la storia di tragica di Stefano Cucchi, ragazzo di trent’anni, deceduto durante la custodia cautelare il 22 ottobre 2009. In scena Francesca De Nicolais veste i panni di Charlot, il vagabondo creato da Charlie Chaplin, e si improvvisa boxeur come Stefano Cucchi, che amava praticare la boxe nella sua città, nonostante il suo corpo esile. La scelta stilistica è precisa: un vagabondo è un personaggio al margine che ha sempre fatto comodo a qualcuno e racconta “la grazia del fallimento” e, come un vagabondo, Stefano, con la sua morte, ha raccontato la sua, la nostra solitudine ma, soprattutto, ha posto l’accento su quel che in Italia non va e che riguarda tutti.

Luci della città|Stefano Cucchi è la summa del teatro di Pino Carbone ed è pensato per essere agile e rappresentato dovunque. Gli oggetti di scena sono davvero pochi, non ci sono giochi di luce elaborati, è solo la Parola ad emergere. È un teatro della crisi, quello di Carbone, fortemente ancorato al nostro presente. L’analogia tra la vicenda del vagabondo Charlot e quella di Stefano Cucchi non solo è azzeccata ma originale: Pino Carbone si pone nella stessa situazione di Charlie Chaplin, che criticava il sistema economico dopo il crac del 1929. Critica un sistema Stato che si commuove dinanzi alla morte di Cucchi ma lascia impuniti i colpevoli. Uno Stato che ha fallito, proprio come quello post ’29, e che non riesce a tutelare i propri cittadini.

Il lavoro sull’attore è preciso e l’idea di mettere in scena un “work in progress”, una bozza di spettacolo da realizzare avvantaggia tutta la struttura di Luci della Città. Stefano Cucchi. Francesca De Nicolais è impegnata, sia fisicamente che emotivamente, a destrutturare le gag chapliniane in funzione di una storia tragica. Inoltre ha il compito arduo di poetizzare una vicenda tragica che ha coinvolto un intero paese senza rinunciare, però, al dolore del racconto e del ricordo, alla rabbia, alla bestemmia e, infine, alla morale finale, al resoconto soggettivo. L’attrice, alla fine, non è più sola sulla scena, diretta dal suo regista, ma si accorge di avere un pubblico e cerca di comunicare le sue impressioni. Un finale spiazzante, l’unico possibile, che lascia spazio alla riflessione ma che trasmette anche il fallimento nel tentativo di “fare uno spettacolo” su un caso irrisolto.

 

 

 

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