Li nipute de lu sinneco: il teatro dell’immaginazione di Pino Carbone

Li  nipute de lu sinneco

Li nipute de lu sinneco, per la regia del giovane regista napoletano Pino Carbone, è in scena al Piccolo Bellini di Napoli dal 28 dicembre 2016 all’8 gennaio 2017. La commedia in tre atti scritta da Eduardo Scarpetta nel 1885 ritrova nella sala del Piccolo una veste che lascia immutato l’intento originario dell’autore: spogliare la borghesia dei suoi artefatti e ridicolizzarli facendoli divenire la chiave comica della rappresentazione, ponendo un forte accento, linguistico oltre che attoriale, sulle sue insite contraddizioni sempre in oscillazione tra il mostrare a l’apparire, la sostanza e la superficie.

La messa in scena, pertanto, non si perde nelle pieghe dell’opera originaria per un eccesso di imitazione, ma appare piuttosto un continuo dialogo con il testo, un dialogo in cui concorrono come partecipi non solo le scelte registiche ma anche gli attori in scena ed il pubblico. Una complementarietà di cui il regista ha già dato prova in allestimenti passati di stampo classicheggiante e che ancora un volta diventa prova di una maturità stilistica ed intellettuale, nell’ambito di un processo di crescita in cui il rapporto con i grandi autori, Eduardo prima e Scarpetta poi, non procede per imitazione ma per induzione: alla riflessione, all’intento, al testo.

Anche l’allestimento di Antonio Verde segue l’intento del regista: un microcosmo dall’anima di legno in cui i processi di costruzione della trama prendono vita accentati dal disegno luci (Salvatore Palladino) che accompagna gli attori in scena dal prologo sino all’epilogo finale come naturale prosecuzione degli stessi.

In scena, a restituire le vicende del sindaco di Pozzano e dei suoi smaliziati nipoti, i bravissimi Rino Di Martino e Antonella Morea. Anche loro s’inscrivono all’interno di questo processo di costruzione dell’immaginario di cui sono  materia prima. Accolgono il pubblico nei loro abiti scuri, la tela su cui andranno a caratterizzare ogni personaggio: una maschera per l’oste Saverio, un cappello con falde per Felice Sciosciammocca, una parrucca con lunghe trecce per Silvia, uno scialle per la giovane oltraggiata ed una una coppola per suo fratello. L’escamotage dello scambio di personalità tra i due fratelli per la distribuzione equa dell’eredità dello zio, viene sintetizzato mediante l’utilizzo di camici double face: uno rosa ad indicare la fattezza femminile e l’altro celeste ad indicare quella maschile, raccogliendo in pieno la dichiarazione d’intenti del regista riportata nel foglio di sala: l’idea è quella di bambini che giocano a essere li nipute de lu sinneco. Sono i bambini che, con i loro giocattoli, danno vita a quest’opera come se la stessero immaginando sotto gli occhi del pubblico.

Momenti tragici che diventano, attraverso gli occhi dei due adulti-bambini, vettori di ironia semplice e coinvolgente, ben ripagata delle risate di approvazione. Rino De Martino e Antonella Morea tengono alta l’attenzione del pubblico da cui ricevono e verso cui veicolano sguardi complici e di assenso. Un lavoro, dunque, in cui lo spettatore è parte dell’azione scenica mediante l’osservazione dello svolgersi della stessa e dei tanti momenti di metateatro che lo intervallano amplificandone il senso e l’immaginario, restituendo un senso di teatro fortemente ancorato al presente. Un dialogo, come dicevamo da principio, a più voci: regia, attori e pubblico per un lavoro semplice e proprio per questo motivo ben riuscito.

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