Le Brugole: dittatura? Stiamo passando dalla Monarchia imperiale al Feudalesimo Medievale.

 

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La giovane compagnia tutta al femminile Le Brugole nasce nel dicembre 2009 ed è composta da due attrici, Annagaia Marchioro e Roberta De Stefano e due autrici, Giovanna Donini e Francesca Tacca. Tra le produzioni ricordiamo lo spettacolo Metafisica dell’amore, che nel 2012 vince il premio alla drammaturgia Scintille del Festival di Asti, Boston Marriage – Amori impossibili, Diario di una donna diversamente etero.
Se volessimo cominciare un’analisi della situazione di crisi culturale del teatro italiano, da quali segnali dovremmo partire? Secondo te/voi, la crisi del teatro potrebbe essere la diretta conseguenza di una crisi generazionale, d’identità e di opportunità? Quali sono i tempi e modi del suo sviluppo?

Parlare di CRISI è sempre difficile, è una parola molto ambigua che in qualche modo intende l’ interruzione di una precedente armonia…ma allora mi domando a che epoca guardare, per ricercare nel teatro un modello ideale, o quantomeno armonico…? Credo che ogni epoca viva delle forti crisi e di conseguenza relativi smarrimenti, cambiamenti ed eventuali riassetti…io oggi più che di crisi, parlerei di nevrosi: abbiamo trent’anni e per noi “la prospettiva della fine” è molto diversa rispetto a chi ora ha 40 o 50 anni, molto più vicina, molto più frequente, svelta e labile. Ma anche molto meno tragica apparentemente, perché a tante piccole “fini” corrispondono tanti piccoli “inizi”. Un continuo adattamento, un saltellare continuo determinato da cambiamenti quasi sempre rapidi e repentini. Stiamo crescendo con l’idea che tutto sia “precario”: il lavoro, le relazioni, la terra, il sole, la libertà..tutto e sempre (e forse di fatto lo è davvero!).
Questo pensiero si è infilato a tal punto nelle nostre vene, che da un po’ di tempo cominciano ad esistere “attori professionisti” che accettano di lavorare gratis o per cifre denigranti…svalutando prima se stessi e poi tutta la categoria, magari a volte alcuni non hanno scelta…o forse si, questo è un bel punto. “Credere nel proprio Valore per non perdere i propri Valori” è uno slogan un po’ banale forse, ma a me piace e mi rimane impresso…di certo le istituzioni statali non aiutano a cambiare questa mentalità, anzi non fanno altro che appoggiare un sistema che mercifica le nuove generazioni: vedi bandi under 35 (preziosissimi peraltro, e unica fonte di entrate economiche per chi non ha accesso alle produzioni), o i Teatri Nazionali, che andranno ad usare letteralmente per un tot di tempo dei generosissimi giovani attori, per poi magari rimpiazzarli col successivo biennio. Questo non solo delude una grandissima aspettativa ideologica e professionale in chi spera -come dovrebbe essere naturale- in una carriera artistica…ma instaura un meccanismo “aziendale”, una “disaffezione” alla nobiltà del mestiere. Non c’è più l’AMORE necessario per coltivare il talento di un essere umano che mette la propria vita nell’arte. Non c’è più nessuno che ti AMA per i tuoi meriti; e questo avviene a discapito di tutti (salvo rare eccezioni) attori, registi, critici, drammaturghi ed anche spettatori. La logica è: “se non ci stai tu, ci starà di sicuro qualcun’altro al posto tuo…tanto c’è la fila”. Ecco questo non può essere. Non è giusto. Questo “cane che si morde la coda” sta snaturando l’ “esperienza” del teatro come dovere di crescita, attraverso un lavoro lungo quotidiano e permanente.

Si può affermare che la crisi del teatro possa dipendere anche da una mancanza di idee teatrali forti?

Esistono poche Idee e tanti “trucchetti”; mi riferisco ad un certo opportunismo che fa muovere verso qualcosa solo perché si intuisce che certi temi sono più in voga di altri. Mi riferisco alla moda del “contemporaneo e innovativo”, a calderoni di segni che -seppur virtuosi- mi fanno pensare che non abbiano una reale urgenza, ma nascano per soddisfare l’Ego di qualche megalomane o la commissione borghese dello Stabile di turno. Non dico che poi i lavori non possano essere belli o dignitosi, ma si sente che non si parte da un nucleo infuocato, e senza fuoco non c’è il giusto ossigeno per le idee.
Credo molto nelle idee che non si sa di avere, ecco! Nell’agire su un terreno pulsante e poi di colpo un po’ per intuito, un po’ perché se ne sono accorti tutti tranne te….voilà t’illumini! Ma mai d’immenso…un poco! Credo che la nostra sia una bella generazione in fatto di creatività e forza di volontà, perciò il problema non sta propriamente nelle idee, quanto nella mancanza di fiducia di chi ha il potere (seppur piccolino), di fartele realizzare. E’ davvero molto raro che ciò accada ed è un vero peccato non investire sul talento e sulla professionalità. Un vero spreco. Un sacrilegio! Questa frustrazione non è solo dei giovani, ma appartiene anche a professionisti di tutto rispetto più grandi di noi e purtroppo soprattutto alle donne…è una grande tristezza doverlo ammettere, ma alle donne non si dà abbastanza fiducia, le si sottovaluta in teatro. Le idee delle donne saranno sempre troppo emotive o troppo sentimentali per destare l’interesse dei molti maschilisti al potere, e anche di alcune donne maschiliste. Le donne sono diverse dagli uomini, si sa, ma siamo o non siamo più della metà della popolazione del pianeta..?! E’ dalla diversità che nascono le idee e viceversa. Diversità che nutre le idee e le arricchisce. Solo così apporteremo un contributo unico.

Qual è la funzione sociale del teatro oggi? Quali necessità soddisfa?

Il teatro oggi è molto “ibrido”, e questo è un bene. Mi spiace per chi è ancora legato all’immagine del teatro come a “Epidauro”. Si fatica a sopportare le resistenze di chi ancora non vuole mollare le briglie e patisce la mescolanza dei generi. Il gender è in crisi, da tanti punti di vista…! E anche i “genders teatrali” lo sono. In molti altri Paesi a cui spesso si guarda come si guarderebbe all’apparizione della “Madonna”, si mescolano molto i generi: si passa dalla stand-up comedy, alla prosa, alla musica dal vivo in scena, alle proiezioni, alle installazioni….e questo non è visto in maniera così snob come da noi in Italia. Io credo che sia molto giusto sperimentare, purché lo si faccia con sensibilità e non si deturpi il seme originale da cui le cose nascono. Di certo la funzione del teatro è la stessa da che esso esiste, ma ne è cambiata completamente la struttura e i rapporti di chi lo compone. Riguardo ai contenuti, i nuovi spettacoli sono spesso d’intrattenimento e anche interazione col pubblico; la durata è generalmente di 60 min circa; è tutto molto pop anche nella prosa e spesso si ammicca alla tv, ai social e alle serie televisive. Questo accade perché Il “medium” teatro ha da confrontarsi con tutti gli altri mezzi di comunicazione di massa…e ci sta..ma ovviamente il teatro “perde” il confronto. Perché non è fatto per questo. Perché al posto di approfondirne la sua già vivissima natura,a volte per ragioni commerciali (cosa che onestamente facciamo quasi tutti), pieghiamo il nostro lavoro a qualcosa che è quanto di più distante dal senso del teatro. Quindi forse direi per fare un saltino in avanti, c’è bisogno di più studio, meno narcisismo e più autocritica. Rischiamo di più! Anche se poi molti “addetti ai lavori” non ci apprezzeranno o non avranno i mezzi necessari per aiutarci…

Si può credere a un rinnovamento del teatro o siamo in attesa di un modello culturale che possa scuotere le coscienze?

Le cose sono sempre in divenire, fluide e cambiano anche senza imposizioni e a volte senza che ce ne accorgiamo. Le coscienze di chi fa questo mestiere in un modo o nell’altro mi sembrano già scosse a sufficienza…ci vuole più sensibilità. Più soldi e spinte reali. Sostegno! Il pubblico va a teatro, ma questo non basta. La nostra coscienza deve porsi nel fare per poter essere e non essere per poter fare….quindi tutti quelli che sono dei modelli d’ispirazione sono bene accetti, anche dai modelli negativi c’è molto da imparare..purché i modelli non diventino una gabbia che imprigioni l’identità della creazione artistica.

Lo Stato sostiene il teatro in Italia? Se sì, ne beneficiano tutti?

L’italia è il penultimo paese dell’unione Europea (compresa l’Europa dell’est) in quanto a investimento in cultura, e tra i primi produttori di armi al mondo…mi sembra un dato molto forte e indicativo, e non mi pare il caso di dilungarsi nel dire che NO, in generale lo Stato non sostiene il teatro in Italia; e ovviamente quel poco che dà, lo dà alle solite poche casse…dei soliti pochi che ne beneficiano.

Le due misure più estreme ed urgenti da mettere in atto, secondo te/voi.

Non ne ho idea…per questo ci vorrebbe un politico o un miracolo…ma è tutto così inquinato…così poco trasparente. Un punto di partenza potrebbe essere sciogliere alcune “cricche” di amici di amici di amici…di simpatie, “invidiette” varie…ovvio che gli esseri umani empatizzano con coloro i quali sentono più affini…ma c’è bisogno di maggiore apertura! C’è bisogno di MERITOCRAZIA. L’apertura verso lo sconosciuto senza giudizio è una vera rivoluzione. Molto difficile da concepire, ma necessaria. Poi darei tutti i teatri delle chiese, agli artisti (anche prima dei 50 anni!) e non ai preti. Forse farei una rete tra gestione-amministrazione-organizzazione tra Stabili e realtà emergenti del luogo, in modo da condividere contatti e un ipotetico budget…ma queste mi rendo conto, sono utopie molto difficili da realizzare e molto poco realistiche….ma chissà…Mi piace molto questa nuova introduzione della materia “teatro” nelle scuole primarie, ma non possono essere degli insegnanti di geografia (per esempio) a tenere i corsi, bensì dei Pedagoghi che garantiscano il rispetto per questa disciplina e il rispetto nel tramandarla.
Ha ancora senso mettere in scena i classici? O andrebbero “tolti di scena”? Quanto influisce la scelta politica di un direttore artistico?

Non scherziamo! Avrà per sempre, tantissimo Senso mettere in scena i Classici! Certo bisogna vedere “come” e “chi” li mette in scena…è necessario partire dai classici della poesia, della prosa, della musica, della commedia per costruire qualcosa di pertinente alla realtà del contesto storico e sociale in cui si opera. E’ da qui che nasce l’“etica” (ethos: il posto da vivere). Le modalità di rappresentazione possono essere molteplici e divertenti, ma tutto per me ha un fondamento politico (da Polis: il posto in cui si sviluppa una certa etica).

Si può parlare di “dittatura teatrale” nel mondo delle arti in scena? Se sì, perché?

Dittatura? No, no. Io direi che stiamo passando dalla Monarchia imperiale al Feudalesimo Medievale.

È possibile un “teatro della crisi” in cui artisti, spettatori e critica trovino un punto in comune?

Accade spesso che Pubblico e Spettacoli si incontrino in vari punti. Accade meno spesso che Critica e spettacoli si incontrino in vari punti. Accade molto poco spesso che Pubblico e Critica si incontrino in qualche punto. Mi piacerebbe che tutti ci prendessimo le nostre responsabilità. Che i critici criticassero davvero e che non fossero soggetti a dinamiche di potere per dover scrivere e poter fare il proprio lavoro…mi piacerebbe che gli attori non si preoccupassero di strizzare troppo l’occhio alla borghesia e non fossero troppo “paraguli” (per dirla alla Pasolini). L’educazione è un dovere, ma Il genio non è mai troppo simpatico al sistema. C’è tanta strada da fare per un reale incontro…

Quant’è importante lo spettatore a teatro? Quanto è necessario investire nella formazione di un pubblico consapevole?

Il pubblico è sovrano: il nostro lavoro è cresciuto quasi esclusivamente grazie al pubblico, pochi (ma buoni) uffici ci sostengono. Senza il pubblico noi non potremmo sopravvivere. Abbiamo tantissime e tantissimi affezionati, e spesso riempiamo i teatri, perché il nostro lavoro piace. Questo è quello che ci importa. Ed è fondamentale che sia così, perché è a loro che vogliamo rivolgerci, siamo persone che parlano ad altre persone, e qualcosa si sedimenta in entrambe le parti. We love Audience!

Prima di salutarvi, ringraziandovi per la collaborazione, vi chiediamo un’ultima riflessione: qual è la vostra missione teatrale? Come immaginate la situazione culturale e teatrale italiana nei prossimi cinque anni?

Ma queste domande sono state difficilissimeeee…Allora vi saluto dicendo che senza Paolo Poli sarà davvero difficile andare avanti…e che continueremo nel nostro percorso che sta diventando sempre più variegato, tentando di schiudere le porte chiuse come fa un sorriso con le bocche.

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