L’avversario di Emmanuel Carrère, romanzo-verità

l'avversario

Jean-Claude Romand è un uomo che ha costruito la sua intera vita sulla menzogna.

Nessuno avrebbe mai dubitato di lui, eppure dai tempi dell’università non faceva che vivere in un castello di bugie eretto un pezzo dopo l’altro.

Parte tutto da un’idiozia. Non si sveglia, una mattina, e non riesce a dare un esame. Ma dice di averlo passato. Non ha mai finito l’università. Non è mai diventato medico. Ma non ha il coraggio di dirlo. Non più, almeno.

“E quando rimani incastrato in questo ingranaggio, per non deludere, la prima bugia chiama la seconda, e poi vai avanti tutta la vita”.

Così si trascinerà dietro questa storia per anni, la racconterà ai suoi genitori, al suo migliore amico, a sua moglie, ai suoi due figli, alla sua amante. A chiunque. Lui lavora in Svizzera, è un ricercatore. È un medico. È amico dei più illustri studiosi. Così dice.

Invece ogni giorno prende la macchina e va nei boschi, o nei parcheggi, o a leggere il giornale nei bar. E intanto guadagna truffando le persone che gli stanno accanto. Dice di avere appoggi in Svizzera, per via del suo prestigioso lavoro. Può far fruttare guadagni. E a chi chiede soldi, dà indietro quelli di un altro che a sua volta li ha affidati a lui. Del resto, come non fidarsi di Jean-Claude? Amato, rispettato da tutti, gentile. Quando non è a casa inventa i dettagli della vita che non ha, per essere pronto alle eventuali domande. Inventa di essere malato. Si cuce addosso una sofferenza per cui gli altri saranno costretti a volergli bene, sempre. È un uomo che è due uomini, senza scampo. E non può dirlo a nessuno. Solo lui sa e può sapere.

“Fuori, era completamente nudo”.

Jean-Claude Romand vuole morire, ma non ne ha il coraggio. Sa che prima o poi tutto gli crollerà addosso, ma spera che avvenga il più in là possibile. Non ci pensa. Fa finta di non pensarci. Ha uno sguardo, dice sua moglie, “dietro cui non può nascondersi niente di male”. Finché la sua falsità lo porterà a uno dei crimini più assurdi della cronaca francese moderna, l’omicidio della sua intera famiglia. Un membro dopo l’altro.

Sua moglie, un attimo dopo averla teneramente abbracciata. I suoi figli di 7 e 5 anni, con cui aveva guardato i cartoni animati: li mette a letto come tutte le sere e, senza guardarli negli occhi, pone fine alla loro esistenza. Non devono scoprire chi è davvero papà. E poi passa ai suoi genitori. Ammazza persino il cane.

Soltanto dopo questa brutalità tornerà ad essere se stesso. O meglio, lo sarà per la prima volta.

È un assassino. È una verità orribile ma, per la prima volta nella sua vita, è una verità.

Ucciderà tutti quelli che l’hanno amato. Poi darà fuoco alla casa aspettando la morte. Che non verrà.

Il romanzo si apre così, con i vigili del fuoco che gli salvano la vita. Sin dall’inizio sappiamo tutto quello che accadrà – ma sono importanti il come e il perché, non il cosa. Emmanuel Carrère legge la notizia sul giornale, e ne è così turbato e colpito che decide, senza saperne il perché, di inviare una lettera al “Dottor Romand”. Vuole scrivere un libro su di lui. Vuole parlargli. Vuole capire. Così nasce “L’avversario” (Adelphi), forse il suo libro più famoso. Un libro freddo, in cui Carrère non si schiera, ma fa in modo che siano i fatti a parlare. Carrère, quando parla, quando lo si sente nelle interviste, sembra sempre mostrare un velo di autocompiacimento in ogni frase, atteggiamento che a tratti infastidisce. In questo libro, però, è assurdamente oggettivo. E la bellezza della prosa è innegabile.

L’avversario del titolo è Satana, l’avversario di Dio, il male, ciò che c’è di malato in ogni uomo.

Questo libro è durissimo, tiene svegli la notte. Carrère non giudica, racconta. E questo è importante. In un mondo in cui chi commette crimini è ancora considerato soltanto un mostro malato, lui mostra come dietro ci siano tante cose. Tantissime. Ed è interessante e importante conoscerle. C’è il passato, ci sono le parole. C’è una vita intera.

Il male è sempre banale.

“Chiedo perdono a chi riuscirà a perdonarmi. Lo chiedo anche a chi non ci riuscirà mai.”

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