Lasci la stanza com’è, intervista allo scrittore brasiliano Amilcar Bettega

Amilcar Bettega è uno scrittore brasiliano nato a Sao Gabriel, nello stato di Rio Grande do Sul, ed è, senza ombra di dubbio, uno dei più grandi autori brasiliani contemporanei. Ha tradotto, tra le varie cose, Maupassant dal francese e i suoi libri sono tradotti in varie parti del mondo. Bettega ha ricevuto diversi premi tra cui, nel 1994, il premio Portugal Telecom.
Per Del Vecchio Editore il 23 gennaio è uscita la sua raccolta di racconti più famosa, Lasci la stanza com’è, tradotta splendidamente da Daniele Petruccioli. Sono quattordici storie molto kafkiane, in cui i personaggi conoscono perfettamente le regole della società claustrofobica in cui si trovano a vivere e abitano spazi delimitati, definiti. La lingua è spoglia, ridotta all’osso ma tutto è curato sin nei minimi dettagli.

Per l’occasione, ho voluto incontrare Bettega per una breve intervista prima della sua presentazione alla Libreria Tamu di Napoli.

  • Il tuo primo libro pubblicato in Italia, una raccolta di racconti, cita nel titolo Raymond Carver, probabilmente il più grande scrittore di racconti mai esistito. Che cosa ti ha lasciato in eredità?

Il linguaggio. Ho un debito con tanti scrittori, Carver è un grande maestro ma non è l’unico. Ho pubblicato tre libri di racconti. È appena uscito in Brasile un libro di testi brevi e ho pubblicato un unico romanzo. I racconti, però, sono casa mia e, da Carver, ho ereditato il suo stile esatto, sintetico e asciutto. Non ho ereditato le tematiche, però, perché Carver è realista e io, invece, il realismo tendo a rifuggirlo.

  • Quali sono i tempi di un racconto? E i racconti di questo libro sono stati una matrice per i testi successivi?

Nei miei testi c’è una mancanza di realismo programmatico. Mi ha fatto sentire comodo in un processo che è il mio. Mi sento molto libero e, in tutti i miei testi, anche nel mio modo di procedere simmetrico, preferisco non partire da un’idea compiuta ma aspetto che la scrittura si impadronisca della storia, o meglio dell’inizio della storia, che è come nebbia. La scrittura, poi, la dipana fino a dare una forma più strutturata. Questo modo di lavorare mi ha reso la vita facile. Dopo ho lavorato sul linguaggio, in direzione del lettore. Infatti il successivo, Os Lados do Circulo, ha un’organizzazione più forte che tiene insieme i vari racconti. Il lavoro più grosso, in questo caso, è stato di rifinitura perché i testi, all’interno di un libro, devono parlarsi e quest’organicità, ormai, è sempre presente nei miei libri.

  • Bettega si sente più brasiliano o latinoamericano?

Brasiliano.

  • Che cos’è, per lei, la letteratura brasiliana oggi?

Molto variegata. Da qualche tempo lo si può toccare con mano, forse anche perché è più facile pubblicare, sono venuti fuori tanti autori, anche sconosciuti, che possono pubblicare con case editrici piccole ma di qualità. Sono venuti fuori scrittori che mostrano la grande varietà della letteratura brasiliana. Se devo indicare un maestro, c’è un autore carioca, Sérgio Sant’Anna, che scrive dagli anni Sessanta, ed è conosciutissimo, anch’egli legato alla narrativa breve.
 

 

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