L’anarchico non è fotogenico

l'anarchico non è fotogenico

Da venerdì 26 a domenica 28 febbraio la compagnia quotidiana.com presenta L’anarchico non è fotogenico, primo capitolo del progetto Tutto è bene quel che finisce (3 capitoli per una buona morte), tetralogia composta anche dai successivi capitoli Io muoio e tu mangi e infine Lei è Gesù, con cui la promettente coppia Roberto Scappin e Paola Vannoni riflettono a voce alta sulla “fine”, non necessariamente intesa quale morte e fine fisica ma più come una morte sociale e politica.

D’altronde lo spazio scelto per la messa in scena è la SALA ICHOS, piccolo teatro indipendente situato nella periferia est di Napoli, a San Giovanni a Teduccio. Un quartiere in cui quella morte di cui stiamo parlando è sopraggiunta da tempo, in cui resistere e tirare avanti è una titanica impresa, in cui purtroppo esistono poche realtà come questa che, quasi in netta opposizione con il “dialogo” portato in scena dalla compagnia di Rimini, tentano di sopravvivere in una terra desolata e abbandonata a se stessa. In questo contesto quindi il tutto risulta più caratteristico e peculiare. Un “vaniloquio”, così come definito da loro stessi, che parla di tutto e di niente, che vuole arrivare ad un punto senza mai arrivarci concretamente, che tenta di sollecitare alla riflessione e all’autocritica ma senza fretta. L’incedere infatti è lento e le voci appena sussurrate in alcuni punti, quelli poi più densi e critici.  È una vera e propria nenia che, nell’accezione tradizionale, altro non era che un canto funebre dell’antica Roma. La formula melodica raramente cambia e il grado tonale è lo stesso per tutta la durata della messa in scena. Questo ritmo andante e armonico rappresenta una cesura netta con il caos quotidiano. La paralisi in scena è una paralisi morale e convenzionale. Il tutto quindi è vincolato alla parola con cui ci si vuole affrancare dalla strada a senso unico che ci viene imposta dall’esterno. È palese, e lo sarebbe stato anche se quotidiana.com non avesse voluto intenzionalmente far passare questo messaggio. Si denota una scissione già dalla messa in scena, dalla regia quasi inesistente, a quegli schemi del teatro tradizionale sui quali entrambi si sono formati nel corso delle loro carriere.

A fine spettacolo ci siamo salutati con una domanda: “Che rapporto avete con la verità?”

Qualcuno ha riposto “pessimo” e qualcuno “inesistente”. Parliamo di verità solo quando siamo invitati. La verità che Scappin e Vannoni ci hanno presentato è una verità semplice che l’uomo già conosce e possiede. Una verità con cui conviviamo nonostante tutto. Siamo stati sollecitati, abbiamo riflettuto e siamo giunti ad una conclusione.

E dopo, la fine.

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