La resa dei conti: l’uomo, la libertà ed il perdono secondo Sentaramo

La resa dei conti

In scena al Piccolo Bellini di Napoli La resa dei conti di Michele Santeramo per la regia di Peppino Mazzotta. La piéce dell’autore barese, atto unico per una messa in scena che dura circa 60 minuti, si interroga sulla condizione dell’uomo mediante i massimi sistemi. I temi del libero arbitrio, del perdono, della confessione e della libertà quale condizione non naturale dell’essere umano vengono  sviscerati nel continuo cambio di registro alternando toni ironici e toni drammatici.

La scena è molto scarna. Su una panca di legno è adagiato uno degli attori in scena. Nell’angolo opposto una piccola sedia. Alle spalle due pareti sbilenche delimitano il perimetro dello spazio scenico. Chi sono questi due e cosa ci fanno in questo posto?  Scopriamo sin dalla prime battute che si tratta di due soggetti in cerca di salvezza, ciascuno secondo il proprio punto di vista. Bartolomeo Guerra (Daniele Russo) è un uomo che ha tentato il suicidio ma è stato salvato per il rotto della cuffia da Don Mario Parisi (Andrea Di Casa), alias Gesù. Bartolomeo vorrebbe una vita senza memoria. La sua unica richiesta è non ricordare. L’altro, invece, vorrebbe poter avere una nuova vita, anzi inventarsi una nuova vita. E la vita che ha scelto per se stesso è quella di Gesù. La sua salvezza dichiara essere racchiusa nelle due sillabe che compongono la parola Gesù. Tuttavia, permane intrappolato in un’unica sillaba, Io.

I due protagonisti sono bloccati in questo luogo dal quale pare non si possa né uscire né entrare. Hanno un unico modo per condurre le loro esistenze: conoscersi. Messi alle strette e senza alcun tipo di distrazione, sono in grado di indagare fino allo sfinimento la loro non condizione: non sono più quello che erano e non sono nemmeno quello che sarebbero potuti diventare. E allora cosa sono?

Questo luogo non luogo non è reale, è una prigione dell’anima in cui è racchiuso il passato di ombre e segreti di cui i due sono portatori. Questo ambiente così scarno e privo di ulteriori tentazioni e distrazioni porta i due a fare qualcosa di cui nella vita di ogni giorno si è persa l’abitudine ed il senso: aprirsi all’altro, concedere fiducia. Questa immagine racchiude in sé l’intento nobile dell’atto teatrale: aprirsi alla fiducia dello spettatore diventando luogo prescelto per la confessione.

Ed è proprio la confessione ad essere presto messa sotto accusa: se la libertà è la più grande rogna dell’umanità perché l’essere umano non è pensato per essere libero come può la confessione liberare l’uomo dall’onta del peccato attraverso il pentimento? La confessione, sostengono i due, è la vittoria di quanto di maligno c’è nel mondo e nell’uomo. L’uomo è un essere pieno di colpe e di segreti e, nonostante ciò, è perfettamente in grado di condurre la sua esistenza andando oltre, dormendo beatamente sul suo cuscino.

Il cerchio disegnato da Santeramo si sta chiudendo. Bartolomeo confessa il suo segreto mentre il nostro Gesù giace addormentato al posto che lui occupava all’inizio della messa in scena. Non c’è punizione perché il segreto della confessione pone un sigillo. Le pareti si aprono lasciando entrare una luce potente. Che ci sia forse una reale possibilità di salvezza per l’uomo attraverso l’uomo? Oppure  ogni colpa, segreto, malefatta continua il suo tranquillo sonno?

Il tempo della La resa dei conti è un tempo veloce. I circa sessanta minuti dalla messa in scena volano via veloci per poi dilatarsi nelle nell’intimo di chi assiste grazie ad un testo degno di nota e ad una prova attoriale che sin da principio si riempie dell’estrema bravura dei due attori in scena che, battuta dopo battuta, entrano in sintonia con gli occhi e la mente di chi li sta guardando.

 

La resa dei conti

di Michele Santeramo

con Daniele Russo e Andrea Di Casa

scene e costumi Lino Fiorito
luci Cesare Accetta

regia Peppino Mazzotta

coproduzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia

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