Killing Desdemona: la tragedia della parola e dei corpi

Killing Desdemona

È la causa. Ma non verserò sangue, nemmeno sfregerò quella sua pelle più bianca della neve e levigata come il bianco alabastro dei sepolcri. Ma morir deve, o ingannerà altri uomini.

Killing Desdemona come atto di liberazione dalle pene, dall’odio che funesto invade la mente ed il cuore che, intrappolato dalla morsa dell’invidia, non trova altra via d’uscita se non nella violenza; come corpo fisico che ingiustamente invia alla terra molle un barlume di purezza non scorso; come forma di depravazione mentale che lungi dall’essere alla ricerca della retta via sguazza nello stagno nero della  cecità, perché un tempo erano i cuori a dar le mani ma nell’araldica del nostro tempo ci sono solo mani, niente cuori.

Killing Desdemona è lo spettacolo che il Balletto Civile, collettivo nomade di performes in residenza artistica presso la fondazione Teatro Due di Parma, ha portato in scena al Piccolo Bellini di Napoli, in prima nazionale, dal 19 al 21 aprile 2017, ispirandosi ad uno dei maggiori drammi di Shakespeare, Otello.

Il palcoscenico è immerso nel buio, nascosto nell’ombra, ad eccezione del grande quadro posto sul fondo. Ai lati delle sedute su cui di volta in volta si adagiano i protagonisti. Su due di esse sono poggiati degli abiti in attesa di essere indossati. Dal soffitto pendono delle funi: anime nere pronte a muovere e giostrare la fitta trama di inganni e violenza pronta a dispiegarsi in scena.

Traghettatore degli eventi è Iago (Maurizio Camilli) che attraverso una fitta rete di inganni e invidie, si cala nella veste di showman dello spettacolo: mediante l’utilizzo di microfoni, fissi e mobili, introduce gli avvenimenti, dà voce ai pensieri, suoi e degli altri, insinua il dubbio, dà corpo alle insidie e alle paure dell’essere umano che, lungi dall’essere alla ricerca della bontà, si rifugia fino a cullarsi nelle zone d’ombra dell’anima. Basta un dubbio appena accennato o la vista di un oggetto, divenuto artificio del terrore, per dimenticare l’amore e lasciare spazio all’oblio più profondo. In questo Iago/Camilli è un maestro, un artista della parola e dell’inganno, che riesce con abile audacia a tirare nel suo tranello tutti i protagonisti in scena. Nel connubio di voce e danza Iago riesce a catalizzare l’attenzione, insinuandosi, come un serpente, nella mente e nel cuore di Otello, facendolo capitolare al proprio piano.

Desdemona (Michela Lucenti) ed Otello (Demian Troiano) entrano in scena dalla platea. Si dirigono al centro consumando la loro passione in un vortice dal quale sembra dispiegarsi tutto. Di fianco, dalle loro sedute, Emilia (Ambia Chiariello), Bianca (Natalia Vallebona), Cassio (Andrea Capaldi) e Roderico (Fabio Bergalio) li osservano attraverso un binocolo. L’ambiente intimo nel quale di consuma l’amplesso dei novelli sposi si trasforma in un boudoir lasciato scoperto al voyeurismo puro. Una transizione tra interno ed esterno che è ricorrente nell’arco di tutta la rappresentazione e che ben presto si trasforma in contrapposizione dei corpi, degli ideali, dei sentimenti.

Il racconto del dramma dal triste epilogo fonda la sua forza sull’utilizzo di tutti i linguaggi dell’arte: la musica che irrompe ed accompagna la scena, la forza e la tensione dei corpi che, in gruppo o come singoli, si muovono nell’alternanza di tenerezza e violenza, la voce, centrale e potente, che scandisce i tempi, genera sentimenti, appartenenza e distacco.

È viva e tangibile la contrapposizione ed il rovesciamento tra significante e significato: bianco e nero sono l’uno il rovesciamento dell’altro. Tutto quanto è ascritto alla purezza e alla bontà viene trasfigurato all’opposto mettendo in atto il rovesciamento delle parti: il nero è nobile e giusto, il bianco perfido e bugiardo e questa dicotomia si ravvisa anche nelle movenze dei corpi, fluidi e striscianti, e nella potenza della parola, bisbigliata e urlata.

Killing Desdemona è un lavoro che trae la sua forza dall’affiatamento degli attori in scena che con perfetta sincronia ed altrettanta agilità riescono a muoversi tra recitazione, danza e canto emozionando e rendendo partecipe lo spettatore del più famoso femminicidio della storia teatrale occidentale che ben lontano dall’essere amore sguazza nella brama di possesso delle cose e dei corpi, generando morte e distruzione.

La rilettura di Michela Lucenti (che in questo spettacolo conferma le sue doti artistiche e la forte presenza scenica) e Maurizio Camilli, seppur con qualche disomogeneità interpretativa, dimostra il carattere attuale dell’opera dl bardo che mediante l’esasperazione dei corpi, impegnati in una performance che non lascia spazio alcuno all’inamovibilità riesce, grazie ad una scrittura pensata per i corpi, a dare forza alla parola.

 

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