Jesus, la riflessione sulla fede di Babilonia Teatri

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La ripresa di Jesus, spettacolo del 2014 di Babilonia Teatri, appare come un fulmine a ciel sereno nei cartelloni teatrali napoletani e si impone, con la consueta cifra stilistica di Enrico Castellani e Valeria Raimondi, agli occhi di una sala gremita alla prima del Piccolo Bellini. Sin da subito è evidente la dimensione laica del lavoro, volta a scardinare una serie di simboli e simbologie attraverso un linguaggio pop ardito e una sfacciataggine bambinesca. Jesus è una riflessione sulla figura del Cristo, oggi, e sull’essere credenti ed è una tappa del percorso artistico del duo veronese che continua il discorso sospeso di “The End”. Valeria Raimondi, sola in scena, gioca con i significati più ovvi, li smonta con sarcasmo sfruttando una recitazione monocorde, martellante e cadenzata e mette sul piatto della bilancia ogni personalismo imposto dalla religione, da Gesù fino a Papa Francesco. Jesus è ovunque, sparato sul pubblico sotto forma di immaginette, nell’agnello pasquale sacrificato per banchettare ma anche in ogni forma artistica e di intrattenimento. Un nome che sentiamo pronunciare quotidianamente, sovraesposto, deformato, mistificato.
Il racconto di Castellani e Raimondi affascina e gioca con un’idea di partenza che lascia presagire uno spettacolo solido e d’impatto ma, purtroppo, la sua eterogeneità di definizioni fa perdere di significato l’intero lavoro, a confonderlo e ad equivocarlo. La scrittura in versi, da sempre tratto fondamentale della poetica di Babilonia Teatri, si avvolge su se stessa, la scena è troppo spoglia e non bastano i fari e le lettere a riempire i vuoti, lasciati da un’anti-narrazione spinta, che si avvertono lungo tutto lo spettacolo. Manca l’urgenza, il rapporto privato con la fede – solo accennato nella sequenza bellissima delle domandi semplici e complesse del figlio Ettore davanti al presepe – e appare sin troppo estetizzata la volontà di dichiarare in anticipo l’incapacità di affrontare un simile tema. L’ironia non manca ma il tema è troppo vasto e complesso per essere banalizzato con una scelta musicale francamente povera e una serie di escamotage che rendono ancora più confuso il senso dell’intero lavoro.

 

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