Io e tu, una rassegna nella rassegna

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Io e tu è una rassegna curata da Silvio Perrella nell’ambito dell’edizione 2017 del Napoli Teatro Festival Italia in cui, nella cornice eterea di Villa Pignatelli, si presentano parole e versi di poeti attraverso una pratica vicinissima a quella teatrale. Il programma di ogni incontro si divide in due parti, attente a far emergere la miriade di suoni ed emozioni che la poesia fa sentire, e si conclude con “Pagine nascoste”, un progetto dello stesso Perrella dove si raccontano le storie dei poeti del passato attraverso cortometraggi.
Entrando nel bellissimo giardino di Villa Pignatelli, accompagnati dalla dolcezza della luce del preserale, si è accolti da tantissime registrazioni di voci di poeti, più o meno conosciuti. Sono rimasto abbagliato dalla forza dei versi di “Se ho scritto è per pensiero” di Antonella Anedda, anche ospite della rassegna, dalla voce di Apollinaire che legge “Le pont mirabeau”, di Borges che declama la “Poesia dei doni” o ancora dall’urlo commovente del nostro Attilio Bertolucci di “Lasciami sanguinare”.

Ho assistito a tre serate, molto diverse tra loro, difficili da seguire, soprattutto per un frequentatore di teatro, in cui la pratica dell’ascolto è condizione necessaria per organizzare il flusso di parole, l’epicità dei toni e le virtù etiche della poesia, tre presupposti per apprezzare vivamente una composizione in versi. La prima ha visto protagonista Mariangela Gualtieri in un suo classico rito sonoro, guidata da Cesare Ronconi, dove ha attraversato tutta la sua produzione poetica con una vocalità intima, preziosa, capace di toccare le corde più intime del nostro animo. Una performance fortemente intrisa di una dimensione spirituale ai più sconosciuta, che soddisfa le nostre ragioni d’essere.

Nella seconda serata Mimmo Borrelli ha proposto un suo particolarissimo omaggio a Michele Sovente, uno dei più grandi poeti italiani, originario dei Campi Flegrei, con il suo professore di italiano del liceo, E.S., con cui ha iniziato il suo percorso teatrale, proprio utilizzando la “lengua sperduta” del suo concittadino. Un incontro unico, sentito, che ha svelato i retroscena di quel magnifico gioco di specchi soventiano e di una scrittura a tre dimensioni (latino, italiano e dialetto di Cappella) che, oggi, possiamo ritrovare, declinato in un modo originale e sanguigno, nel teatro di Mimmo Borrelli.

Infine ho scelto di assistere all’incontro con Patrizia Valduga, il 22 giugno, che ha raccontato il suo amato Giovanni Raboni, di cui è stata compagna per ben 23 anni. Ha alternato poesie di Raboni alle sue concludendo con i versi di Manzoni e Pascoli, due poeti da lei molto amati e rievocati dalla poetessa con molto ardore in un dialogo intimo con il pubblico.

Ecco, a rivedere nella mente le tre serate speciali offerte da questo teatro festival vengono in mente tante considerazioni sulle sue potenzialità. Questa kermesse, che ha mediato tra tantissime parti, forse pure troppe, ha provato a spostare il fuoco dell’analisi verso il problema della cosiddetta “cultura alta” che, per oltre un ventennio, e soprattutto in piena logica berlusconiana, è stata responsabile dell’impoverimento culturale del nostro paese arroccandosi su argomentazioni fatue e non parlando al popolo. Attraverso una politica di prezzi popolari e sfruttando il cambiamento di rotta napoletano, operato soprattutto dai Russo con il Teatro Bellini, il festival si è avvicinato un po’ di più agli studenti, agli appassionati di teatro o ai curiosi proponendo un cartellone variegato, che spazia dal teatro alla poesia. Il problema, però, è che i pochi eventi meritevoli sono letteralmente sepolti da un cumulo di lavori mediocri e per niente attuali. Il gioco, probabilmente, vale la candela perché, con un programma più oculato e senza inutili nostalgie per un passato, troppo spesso, mitizzato, questo modello di festival – interdisciplinare, popolare e mediatico – dimostra di essere vincente e potrebbe puntare, nei prossimi anni, ancora sui laboratori e sulla contemporaneità. Bella l’idea di dividere gli spettacoli in sezioni tematiche ma sarebbe preferibile dare largo spazio ai linguaggi performativi odierni. È giusto proporre Angelica Liddell e Jan Fabre ma, a questi nomi ormai “istituzionali”, sarebbe bello vedere registi come Oskaras Koršunovas e Katie Mitchell o collettivi come Rimini Protokoll e Costa Compagnie. Un festival di teatro deve poter offrire un percorso completamente diverso dalle stagioni teatrali ed essere una vetrina sul mondo. Solo all’interno di un contesto plurale e internazionale, ben organizzato, si può dare spazio ad attori, drammaturghi e registi italiani. Diversamente, è solo puro autoreferenzialismo che non giova né agli artisti e né al pubblico che, quest’anno, ha mostrato di essere presente e attento. Dalla prossima edizione, però, tocca studiare un po’ di più.

 

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