Il MA di Latella per dare voce al lutto delle madri

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È un Latella intimista, sofferente quello di MA, interpretato straordinariamente da Candida Nieri, premio UBU nel 2013 come miglior attrice, che intraprende un percorso complesso tra le pieghe della scrittura drammaturgica di Linda Dalisi la quale pone, al centro del suo testo, la figura della madre di Pasolini.

MA, infatti, sono le prime due lettere della parola Madre ma è anche una congiunzione avversativa che implica l’ambiguità di un rapporto complesso e misterioso racchiuso, nel cinema di Pasolini, in un patrimonio di immagini significative (la vecchia contadina di Teorema, la Madonna nel “Vangelo secondo Matteo).

La scena semplice e funzionale di Giuseppe Stellato pone, sulla sinistra, una quinta di luci e una serie di scaffali su cui sono poggiate delle lampade. Al centro, seduta su uno sgabello e con i piedi in due enormi scarponi, c’è l’attrice, che ha, tra le mani, un microfono avvolto in un fazzoletto bianco.

MA è anche la prima sillaba pronunciata da un neonato, il primo suono di un bimbo dedicato alla madre ed è soprattutto a quella lallazione canonica, frammista allo Stabat Mater, che la Dalisi fa riferimento. Probabilmente perché è lì che risiede il segreto del legame irrefutabile tra Pasolini e la madre al punto da volerla in due film, Teorema e Il Vangelo secondo Matteo.

Ed è Susanna, “madre di un Cristo comunista”, a colpevolizzarsi per aver indotto il figlio a leggere, a studiare, senza mai mettere in evidenza le sue contraddizioni. Lei, come tante madri della Storia, è stata testimone della morte del proprio figlio amato e ha pagato un dazio troppo amaro per aver accolto quelle parole di figlio che nascondevano una forte solitudine.

Nella narrazione della Dalisi, fissata da Latella in pochi statici movimenti, il racconto della Madre si fonde semioticamente con la lingua del figlio nell’atto impossibile di un’elaborazione del lutto postuma, differita, ancora afflitta dai fantasmi di un periodo nefasto dove Pasolini veniva denunciato e condannato. Ed è in questo flusso, in cui la Parola uccide la Cosa, che torna, sotto forma di allucinazione, tutto ciò che Susanna, la madre, non è riuscita ad elaborare a livello simbolico dando spazio alla voce, che “viene al posto di ciò che del soggetto è propriamente indicibile”.

Visto al Teatro Nuovo di Napoli, il 17/11/2016

 

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