Human after all, i Daft Punk suonano il rock?

Forme di vita forse inquietanti, forse geniali, tentano ancora una volta di comunicare con il pianeta Terra con pochi accordi e ancor meno varietà nel fraseggio. Nell’anno 2005 i Daft Punk tentano una personale odissea nello spazio con un album dai toni essenziali che segna una nuova rotta nella dimensione tecno-dance del duo francese. Così – abbandonata, nei pressi del sostenuto e ripetitivo finale di The Prime Time Of Your Life – l’angosciosa sensazione che il lettore cd del tuo stereo abbia bisogno di essere riparato, si è pronti ad entrare nella filosofia del nuovo album dei Daft Punk.

Filosofia forse questa volta più intricata, ma sostanzialmente non molto differente da quella che i due dj hanno applicato agli album precedenti: torna prepotentemente il concetto di ripetizione, la delirante riproposizione degli stessi suoni e campionamenti in combinazioni diverse e portati alle estreme conseguenze, che è in fondo la peculiarità che ha creato il suono del famoso duo francese. In Human After All, la similarità tra i brani è ancor più evidente, data anche la scarna solidità del suono, costituito da tormentoni di matrice synth-pop su cui si dimenano chitarre impazzite e minacciosi colpi di batteria, che finiscono per avvolgerci in una sensazione di vuoto, una caduta libera in una vertigine che rimbomba nella testa facendola muovere maniera sincopata e discontinua. Come accade nella title track Human After All (ma secondo voi si riferiscono ai robot o agli essere umani stessi?) e nei riff cibernetici di Robot Rock, o ancora nella batteria che in The Brainwasher, segna minacciosamente il tempo su frequenza disturbate ed una spaventosa voce robotica.
Di diversa matrice Make Love, brano quasi romantico che si distende su un tappeto elettronico intessuto di delicate tastiere; senza troppe pretese, invece, ma divertente e dotata di maggior ritmo Technologic, seguita dal tripudio di tastiere e bassi dall’emblematico brano di chiusura Emotion.

In alcuni punti Human After All sembrerebbe essere un lavoro quasi volutamente incompiuto, nato dall’assemblaggio di pezzi iniziati e lasciati volontariamente andare incontro al loro destino, vale a dire moltiplicarsi in loop senza fine. Il nuovo esperimento dei francesini dalle tendenze androidi ci lascia quindi con qualche perplessità, ma anche con la certezza che le sorprese da parte dei Daft Punk non si esauriranno tanto facilmente e che le vesti di rockers non siano poi così inadeguate per dei robot.

Articolo di Manuela Contino

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