Hai appena applaudito un criminale di Daniela Marazita

Hai appena applaudito un criminale

Hai appena applaudito un criminale, di e con Daniela Marazita, è in scena al Teatro Elicantropo di Napoli dal 24 al 27 marzo 2016. Racconto emozionato dell’esperienza di laboratorio teatrale dell’autrice presso il carcere di Rebibbia Nuovo complesso che apre una riflessione profonda sulle prigioni interiori, sulla detenzione intesa come pena da assegnare e sul valore della diversità di ogni genere. Esperienza che è valsa all’autrice e quattro detenuti la menzione speciale della giuria del Premio nazionale di drammaturgia civile Giuseppe Bertolucci nel 2015, oltre a divenire un caso letterario di nicchia.

Con tale spettacolo la Compagnia Luca De Filippo riprende il discorso sul mondo dell’esclusione avviato tempo prima da Eduardo con i ragazzi del carcere minorile di Nisida.

Una sedia a riempire la scena. Due cubi sovrapposti. Bianco e nero, la tensione eterna dell’animo umano. Da dietro le nere quinte entra Daniela Marazita. Si posiziona al centro della scena, siede sulla sedia e comincia il suo racconto. Un viaggio che attraversa il lungo corridoio, buio, illuminato di sola luce verde, della mente umana. Sembra quasi una rinascita questo corridoio, un collegamento tra isole, una catarsi dell’uomo che si spinge oltre il muro delle convenzioni, delle strutture consuete, quelle che in modo naturale spingono alla distinzione tra il bene e il male, giusto e sbagliato. Per liberarsi, per una possibilità. Per consacrare il teatro nella sua forma nobile atta ad attribuire una speranza di libertà intesa nel senso più assoluto: comunicazione attraverso le visioni che fanno paura. Rinchiusa tra le celle del carcere di Rebibbia nel padiglione dei reati indicibili, questa libertà sembra essere immeritata. La violenza contro le donne, contro gli innocenti che non riescono col loro piccolo fiato a frenare la reiterazione del buio non merita clemenza alcuna. Ma dopo cosa ne sarà? Senza rieducazione, accettazione, s’interrompe un circolo vizioso destinato una volta acquisita la vera libertà, quella socialmente connotata, a cominciare da capo.

Ecco il teatro. Daniela M. accetta, con timore ma anche con una inspiegabile forza interiore, la proposta rifiutata da tanti altri. Una donna che riesce a catalizzare le sue prigioni nelle prigioni altrui. Una donna fragile e forte, delicata ed impetuosa, piena di paure ma ricca di una carica esplosiva. Daniela M. è la voce, il ricordo di quanti hanno partecipato al suo laboratorio. Porta le mani alla testa come se i pensieri, tutti i pensieri dei detenuti che l’hanno incontrata, scottassero almeno quanto i suoi. Seduta difronte alla platea con la sua voce a tratti graffiante a tratti soffocata riprende queste voci e presta loro il suo corpo: il cantante, la guardia carceraria, il romano, il siciliano, il medico sono lei. La sua voce e la forza del suo corpo, che contorce in continui movimenti, sono mezzo di trasmissione delle emozioni della memoria, regalando al pubblico attento la trasposizione davanti ai suoi occhi.

Un testo forte, duro, che si anima, prende vita nel piccolo spazio del teatro. E le mani, che si muovono frenetiche nell’aria, entrano nel cubo bianco illuminato da un’accesa luce plasmando la storia.  Famme chello che vuò, indifferentemente, tanto ‘o ssaccio che so’, pe’ te nun so’ cchiù niente, canta più volte Daniela M., muovendo le mani attorno al volto, le stesse mani che da dietro la schiena o da dentro una scarpa tirano fuori qualcosa che viene poggiato delicatamente sul cubo bianco: un ricordo o forse l’animo di quanti hanno vissuto con lei tutto ciò.

Nella cappella fredda, gelida da far battere i denti, del G9 adibito a palcoscenico per le prove ma soprattutto a non luogo dell’anima, Galileo Galilei e Nazim Hikmet  prendono vita e si muovono nelle sue parole. Quel cupo sollievo levatosi con l’accettazione della proposta trova la libertà. Il lungo cammino, freddo e tortuoso che l’ha portata ad essere una rabdomante alla ricerca del talento nascosto, è finalmente libero di accogliere il successo della mediazione salvifica del teatro: il grande privilegio di essere testimoni dell’intestimoniabile. strumento che penetra il sommerso in ognuno di noi auspicando la sopravvivenza che solo una grande e per molti versi controversa magia sa cogliere.

Un doveroso atto di civiltà di cui l’uomo ha bisogno che prende vita in una piccola sala piena di spettatori pronti ad accogliere questo grande privilegio.

Hai  appena applaudito un criminale 

di e con Daniela Marazita

regia Alessandro Minati

elementi di scena Teresa Fano

durata: un’ora circa

 

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