Gaetano Di Vaio: intervista a un figlio del Bronx

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Gaetano Di Vaio è nato a Piscinola, un quartiere della periferia nord napoletana, e ha trascorso sette anni in carcere per rapina e spaccio di droga, durante i quali ha conosciuto il piacere della lettura e della cultura che gli hanno fornito la base per il suo futuro da produttore. Oggi, infatti, è attivo sul territorio, dal 2003, con la casa di produzione cinematografica “Figli del Bronx” che dà voce alle minoranze e al disagio urbano delle zone più a rischio. Ci ha raccontato di Largo Baracche, un suo documentario del 2014, in cui, telecamera in spalla, ha filmato le giornate di sette ragazzi dei Quartieri Spagnoli tra i diciannove e i trentadue anni, che raccontano alla sua telecamera il clima di violenza e morte che hanno respirato sin dalla nascita. Premiato al Festival Internazionale del Film di Roma come “Miglior Documentario”, l’opera di Di Vaio è l’indagine di un insider che testimonia e narra un mondo ai più sconosciuto.

 

Che cos’è Largo Baracche e com’è nato?

Largo Baracche è una piazza dei Quartieri Spagnoli, uno spazio frequentato dai giovani. Mi interessava raccontare la quotidianità dei ragazzi che vivono quel luogo. In realtà, è anche uno specchio per raccontare il mio passato e per far capire le condizioni vissute da questi giovani, anche intelligenti, che non hanno opportunità, chiusi nel loro ghetto.

Come intende il cinema? Che funzione deve avere?

Il cinema lo intendo come strumento per raccontare storie, per mettere a fuoco situazioni e realtà. Mi piace il cinema del reale, quello che aiuta le persone a comprendere situazioni poco conosciute in maniera efficace. Quel cinema che apre coscienze e racconta mondi a due passi da noi e che non conosciamo.

Ha ancora senso, nella nostra nazione culturalmente e politicamente allo sfascio, mettere in primo piano il ruolo della cultura?

Certo, ha senso perché la gente è assuefatta, narcotizzata dai media, come la televisione, e dai nuovi media, come Internet. Sono mezzi fini a se stessi usati dai giovani per uccidere la noia e non per una funzione informativa. La cultura è sempre più importante ma è lo Stato che deve mettere a disposizione i mezzi culturali per permettere ai giovani di capirne l’importanza. Si investe, invece, in cose che distraggono, effimere. Quindi la situazione di sfascio è voluta.

Il tema “Camorra e Malavita” potrebbe apparire inflazionato, vista la mole di film e libri sul tema. Crede che tutto questo abbia sensibilizzato sul tema? Ha prodotto qualche risultato sulla società civile?

No. Hanno speculato molto sulla camorra e sulla guerra di camorra, soprattutto chi ha intercettato risorse sul tema. Il problema non è risolto, la Magistratura porta avanti una lotta unidirezionale. Hanno individuato nella serie “Gomorra” il problema, ma non c’entra nulla, il vero problema è che abbiamo creato l’Eroe anticamorra ma l’ha fatto la società borghese, che ha evitato di mettere il dito nella piaga. Il Governo, poi, non fa niente in questi territori, questi giovani sono lasciati soli, non si creano opportunità. C’è un’umanità esclusa dalla vita civile che vede nello Stato il Nemico, che arresta un padre, uno zio ma che non dà risposte. A crescere, quindi, sono solo la devianza e il bronx, vengono meno solo i capi e il problema non si risolve. Oggi, per strada, abbiamo i cani sciolti, non la Camorra che fa affari, ed è drammatico. Sono ragazzi al bivio e, con “Largo Baracche”, ho cercato di mettere una pulce nell’orecchio, li ho messi di fronte a una crisi, gli ho fatto capire che esiste altro, un altro modo di pensare, un’altra mentalità ma non basta solo quello. A Napoli ci vuole uno Stato forte, che concede e che ha, al contempo, il pugno di ferro. Bisogna liberare i vicoli dai motorini e dalle automobili, ad esempio, per favorire il turismo. Bisognerebbe permettere ai turisti di visitare il cuore di Napoli. De Magistris potrebbe farlo, adesso, come l’ha fatto con il Lungomare ma avrebbe tutti contro, a pochi mesi dalle elezioni. In ogni modo, non può farlo perché non ha un governo che lo supporta. Non c’è volontà di rilanciare veramente questa città. I vicoli liberati potrebbero dare da vivere, far conoscere un nuovo approccio diverso dall’associazionismo. Servono modelli europei per far risorgere questa città.

Ha mai pensato di raccontare realtà altre da Napoli ma simili?

Non l’ho ancora fatto ma mi piacerebbe mettere a confronto aree svantaggiate, come autore, con un altro documentario. Voglio partire da qui per raggiungere le periferie d’Europa, come quella parigina. Devo ancora maturare quest’idea, devo sentirla nell’anima. Per il momento sento ancora l’esigenza di raccontare la mia città. Non ho studiato cinema, non ho un’estetica cinematografica precisa, ma sono una persona viscerale e, se lo sei, capisci che la forza estetica la trovi dalle persone, dalla città. Io racconto, non mi sento un cineasta. Certo, voglio migliorarmi ma sto seguendo un mio percorso e voglio assecondarlo fino alla fine.

Quali sono i tuoi prossimi progetti?

Come produttore, ho due film in cantiere: “Veleno”, di Diego Olivares, sulla Terra dei Fuochi, sugli ultimi giorni di vita di un contadino, e “Falchi”, un poliziesco di Toni D’Angelo, che è il desiderio di raccontare la città da un’altra prospettiva.

 

Lunedì 7 dicembre, alle 20.30, è possibile assistere alla proiezione di “Largo Baracche” alla Sala Assoli di Napoli.

 

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